Gli incendi contaminano anche i fondali del Mar Mediterraneo e gli animali che li popolano
Come dimostrato dal recente e devastante incendio che ha colpito la provincia di Oristano, in Sardegna, gli animali sono tra le principali vittime di questi eventi. Sono infatti centinaia le carcasse di esemplari selvatici e domestici recuperate dai soccorritori, arsi vivi dalle fiamme – come tanti cani legati alle catene – o intossicati a morte dal fumo. Anche se può apparire controintuitivo, ad essere colpiti dagli effetti catastrofici dei roghi non ci sono solo gli animali terrestri, ma anche quelli marini e tutta la catena alimentare a essi associati. A dimostrarlo un team di ricerca italiano composto da scienziati del Dipartimento di Scienze della Terra e dell'Ambiente (DISAT) e del Dipartimento di Economia, Management e Statistica dell'Università degli Studi di Milano – Bicocca.
I ricercatori, coordinati dall'ecologa Sara Villa, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i livelli di inquinamento nei sedimenti di diversi fondali del Mar Mediterraneo. Gli scienziati hanno sfruttato i dati di diversi studi condotti dagli anni '80 del secolo scorso fino al 2019 e, attraverso un sofisticato modello matematico-statistico, hanno potuto rilevare interessanti associazioni temporali tra la presenza di sostanze inquinanti e gli incendi boschivi. La professoressa Villa e i colleghi si sono concentrati principalmente su 16 idrocarburi policiclici aromatici o IPA, composti inquinanti con note caratteristiche cancerogene e mutagene. Dall'analisi della loro origine gli esperti hanno determinato che larga parte degli IPA presenti nei fondali marini del “Mare Nostrum” deriva proprio dalle emissioni degli incendi. “Con i nostri indici abbiamo notato che l’origine della contaminazione era molto spesso legata a combustione di biomasse naturali”, ha dichiarato la professoressa Villa. “Ci siamo chiesti, quindi – ha proseguito l'esperta – che impatto avessero gli incendi sulla qualità dell’ambiente acquatico. Abbiamo constatato che all’aumentare degli incendi, aumenta la contaminazione dei sedimenti marini con un tempo di risposta di tre anni circa”.
Gli IPA possono avere sia un'origine artificiale – come processi industriali e combustione parziale di benzina e altri materiali – che naturale, sprigionati da vulcani in eruzione o appunto dai roghi (che molto spesso hanno comunque dietro la mano criminale dell'uomo). Attraverso le acque reflue, le precipitazioni e altri fenomeni meteorologici gli idrocarburi policiclici aromatici accumulatisi nell'ambiente finiscono nei fondali marini dove contaminano gli organismi bentonici, cioè quelli che vivono sul substrato ricco di sedimenti. Poiché questi animali rappresentano degli indicatori biologici sulla qualità degli ecosistemi e sono alla base delle catene alimentari, la loro contaminazione con sostanze così nocive rappresenta un pericolo per moltissime specie, comprese quelle che finiscono sulle nostre tavole.
Le informazioni ottenute da questo studio dovrebbero dunque sensibilizzare ulteriormente l'opinione pubblica sull'impatto ad ampio raggio degli incendi, spingendo le istituzioni a prendere tutte le misure necessarie per prevenirli. La minaccia è attualmente resa ancor più problematica a causa dei cambiamenti climatici, che determineranno incendi sempre più grandi e devastanti, come quello che ha recentemente colpito la Sardegna. Secondo un recente studio italo-spagnolo, entro la fine del secolo le aree divorate dalle fiamme in Europa potrebbero essere fino al 100 percento più estese di quelle colpite ai giorni nostri, con un impatto catastrofico non solo su animali terrestri, vegetazione, raccolti e infrastrutture, ma anche sui delicati ecosistemi marini. I dettagli della ricerca “Spatial and temporal trends in the ecological risk posed by polycyclic aromatic hydrocarbons in Mediterranean Sea sediments using large-scale monitoring data” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Ecological Indicators.