Gli allergici hanno meno probabilità di sviluppare la forma grave di COVID-19
Soffrire di allergia sembra offrire una sorta di "scudo protettivo" dalla forma grave della COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2. A determinarlo un team di ricerca italiano guidato da scienziati dell'Istituto dermopatico dell'Immacolata (Idi) di Roma e della Clinica San Carlo di Paderno Dugnano (Milano), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di diversi altri istituti: l'Ospedale Bolognini ASST Bergamo Est; la Casa di Cura Palazzolo; l'ASST Carlo Poma di Mantova; il Dipartimento di Dermatologia e Allergologia presso l'Ospedale Beauregard di Aosta e l'ASST Rhodense.
Gli scienziati, coordinati dai professori Enrico Scala e Riccardo Asero, rispettivamente dell'Idi e dell'Ambulatorio di Allergologia della clinica lombarda, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato le cartelle cliniche di circa 500 pazienti, tutti ricoverati tra marzo e aprile scorso in diversi ospedali del Nord Italia, dove la pandemia di coronavirus ha colpito più duramente. Dallo studio retrospettivo e multicentrico è emerso che chi soffriva di allergia – i “soggetti atopici” – avevano una probabilità significativamente inferiore dei non allergici di sperimentare la forma grave o molto grave della polmonite innescata dal patogeno emerso in Cina. Nello specifico, in base a quanto affermato dall'Idi di Roma, l'incidenza della malattia grave o molto grave è risultata essere del 33,3 percento nei pazienti allergici del campione, contro il 67,7 percento dei pazienti non allergici. È particolarmente interessante notare che questa sorta di protezione non era legata ad altri fattori di rischio associati alla forma più severa dell'infezione, tra i quali gli scienziati segnalano “il fumo di sigaretta, la malattia coronarica, il diabete, la trombosi o l'ipertensione”.
Ma da cosa dipende esattamente questo "effetto protettivo" evidenziato dai ricercatori italiani? Scala e colleghi hanno sottolineato in una nota che l'infezione scatenata dal coronavirus Sars-CoV-2 può innescare un ampio ventaglio di condizioni, che spaziano dallo status asintomatico a forme di polmonite “estremamente gravi”. “In alcuni casi viene indotta una cosiddetta ‘tempesta citochinica Th1‘, cui segue una vera e propria auto-aggressione del sistema immunitario, con produzione di elevatissimi livelli di IL-6 (interleuchina-6), in grado di generare una sindrome da distress respiratorio acuto (Ards) e una insufficienza multiorgano, il cui risultato finale è la morte”, scrivono i ricercatori. Poiché chi è allergico è geneticamente predisposto “a generare una risposta immuno-mediata di tipo differente” chiamata Th2, e poiché “questa risposta non implica l'espressione delle principali citochine coinvolte nell'Ards”, gli autori dello studio hanno ipotizzato “che i pazienti allergici fossero meno inclini all'infezione da Sars-CoV-2 o potessero avere un'infezione meno grave”. Una intuizione che poi è stata confermata dai risultati dell'indagine.
Nell'abstract dello studio “Atopic statusprotects from severe complications of COVID‐19” pubblicato sulla rivista scientifica specializzata Allergy, si legge anche che i soggetti atopici mostrano una ridotta espressione del recettore ACE2, cioè quello cui si lega la proteina S o Spike del coronavirus SARS-CoV-2 per distruggere la parete cellulare e riversare l'RNA virale all'interno, dando così via al processo di replicazione che determina l'infezione (COVID-19). La minore concentrazione di ACE2, concludono i ricercatori italiani, potrebbe essere associata a una ridotta suscettibilità al virus.