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Famiglia di orche brutalmente uccisa: così hanno ammazzato madre, padre e piccolo

Un’intera famiglia di orche è stata brutalmente e illegalmente uccisa da pescatori indonesiani del villaggio di Lamalera. Ai tre cetacei, madre, padre e piccolo, è stata recisa la colonna vertebrale con lance e coltelli.
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A cura di Andrea Centini
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Un'intera famiglia di orche composta da madre, padre e piccolo è stata massacrata illegalmente da pescatori del villaggio di Lamalera, in Indonesia. Le immagini diffuse dalla Dolphin Project, un'organizzazione fondata dal celebre attivista americano Richard (Ric) O’Barry nel 1970, mostrano tre animali – ormai esanimi – sulla battigia di una spiaggia dell'isola di Lembata, mentre vengono sospinti dalle onde. Tutti e tre gli esemplari presentano enormi ferite dietro alla testa e una corda conficcata all'altezza dello sfiatatoio. La tecnica di recisione del midollo spinale ricorda quella adottata alle Isole Faroe per uccidere i globicefali (e altri cetacei) nelle sanguinosissime grindadrap.

Dal 1986 la Commissione Internazionale per la caccia alle balene (IWC, International Whaling Commission) vieta la caccia ai cetacei i tutto il mondo, tuttavia ad alcune specifiche popolazioni sono concesse licenze per la cosiddetta “pesca tradizionale”. È quella che ha permesso al sedicenne Chris Apassingok di uccidere una balena della Groenlandia di 200 anni, così come alla diciottenne Jessica Pilurtuut, entrambi appartenenti a comunità Inuit (gli Yupik e i Nunavik). I pescatori del villaggio di Lamalera hanno una licenza che gli permette di cacciare due balene ogni anno nel periodo che va da maggio a ottobre, al fine di ottenere carne e ossa per sfamare l'intera popolazione locale.

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Le orche, che non sono balene ma cetacei con i denti (odontoceti) e i più grandi rappresentanti della famiglia dei delfini, sono protette dalle leggi internazionali. I pescatori non avrebbero potuto cacciarle. Senza contare che la “pesca tradizionale” andrebbe effettuata con canoe e altre imbarcazioni a remi, mentre gli animali sono stati inseguiti con barche a motore e dilaniati con ferocia. Normalmente questi pescatori non uccidono femmine in gravidanza, esemplari giovani o animali impegnati nei riti di corteggiamento, ma in questa occasione non si sono fatti scrupoli a sterminare un'intera famiglia. Al di là dell'orrore per la morte atroce, vanno sottolineati anche il dramma psicologico e la sofferenza sperimentati da questi animali nel veder colpiti a morte i membri della propria famiglia; non a caso uno studio recente ha dimostrato la grande vicinanza comportamentale e sociale tra cetacei e primati superiori, come l'essere umano.

“I pescatori del villaggio di Lamalera – ha sottolineato la dottoressa Femke Den Haas, direttrice della campagna indonesiana del Dolphin Project – usano barche motorizzate per catturare delfini e altri cetacei con i denti, tartarughe marine, squali e razze”. “ I grandi numeri suggeriscono che possano esserci aspetti commerciali nella loro caccia”, ha sottolineato la dirigente. I membri della Dolphin Project sono da tempo impegnati sull'isola indonesiana per sensibilizzare le comunità locali con proposte di conservazione, al fine di far cessare questi massacri e favorire l'ecoturismo, che tanto ha funzionato in altre parti del mondo grazie a floride attività di whale watching.

[Credit: Dolphin Project]

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