“Entro trent’anni gli eventi climatici estremi saranno la normalità”
Nel giro di una trentina di anni, il Mediterraneo dovrà dire addio al clima mite e temperato che ne ha fatto la culla di innumerevoli civiltà: e non sarà la sola area del Pianeta a patire gli effetti di un riscaldamento globale che, tra detrattori e sostenitori, sembra avanzare inesorabilmente. Sì perché anche se nel corso dell'estate del 2013 i ghiacci del continente artico sembrano aver retto meglio di quanto accaduto negli anni precedenti, non possiamo certamente dire di stare assistendo ad un'inversione di tendenza, tutt'altro. Anzi, a dirla tutta, proprio poche settimane fa gli scienziati di tutto il mondo riuniti nell'IPCC, panel intergovernativo istituito dalle Nazioni Unite con l'obiettivo di delineare i possibili scenari climatici futuri, hanno presentato un rapporto annuale che ha fatto e fa ancora molto discutere (e temere): tra emissioni di gas serra e deforestazioni che fagocitano ogni giorno ettari di verde, secondo i ricercatori abbiamo di fronte soltanto un decennio di tempo per sperare di riuscire a raddrizzare la rotta. Sembra davvero poco, se si considerano le divergenze di opinioni tra gli Stati di tutto il mondo che spesso si sono tradotte, e si traducono, nel rifiuto di rispettare tutti quei vincoli e quelle normative creati appositamente per contrastare gli effetti più esasperati dell'impatto antropico.
Ora giunge un nuovo studio a fare ulteriormente luce sul fenomeno, sui tempi entro i quali assisteremo a delle concrete modifiche e sui luoghi che maggiormente subiranno cambiamenti, con conseguenze sulle specie che non è possibile prevedere: il lavoro, curato dai ricercatori dell'Università delle Hawaii e pubblicato in un articolo di Nature, individua nelle regioni tropicali e in molti Paesi in via di sviluppo, le aree che maggiormente subiranno gli effetti del riscaldamento globale; naturalmente il dato geografico suona sempre come un paradosso, dal momento che la gran parte delle nazioni che sarebbero coinvolte hanno contribuito in maniera decisamente irrisoria alla mole di emissioni nell'atmosfera. Gli elementi più allarmanti, però, riguardano l'arco cronologico entro il quale tali mutamenti dovrebbero verificarsi: «Il risultato ci ha scioccato. Indipendentemente dallo scenario, i cambiamenti avverranno rapidamente. Nell'arco della mia stessa generazione, il clima che eravamo abituati a conoscere sarà solo un ricordo del passato» ha spiegato Camilo Mora, principale autore dello studio.
Il volto dell'Indonesia muterà nel giro di una decina d'anni, con ovvie ripercussioni che interesseranno non soltanto gli aspetti ambientali ma anche quelli socio-economici: la fragilità delle specie tropicali, l'impossibilità per molte di esse di adattarsi a nuovi assetti, finirà per stravolgere non soltanto gli ecosistemi ma anche il mondo che ruota attorno ad essi, incluso quello dell'alimentazione umana di migliaia di persone. Stando alle proiezioni dei ricercatori, ricavate dal confronto tra migliaia di modelli possibili, le città che arriverebbero più tardi a modificare drasticamente il proprio clima sarebbero Mosca (2063) ed Anchorage (2071). L'Italia si collocherebbe a metà strada: la data di riferimento dello studio sarebbe il 2044, quando il clima a cui siamo abituati sarà ormai completamente stravolto, con una maggiore ricorrenza di eventi meteorologici estremi, dall'esito che può facilmente divenire catastrofico, che normalmente costituirebbero un'eccezione per l'area mediterranea.
Il lavoro ha esaminato le temperature registrate a partire dal 1860, laddove possibile: ne è emerso che i quattordici anni successivi o precedenti al 2047, presenteranno una temperatura media assai più "rovente" di quella degli anni più caldi compresi tra il 1860 ed il 2005: questo, naturalmente, in uno scenario purtroppo assai verosimile in cui le emissioni di gas serra nell'atmosfera non accenneranno a diminuire. Conclusioni affrettate e fastidiosamente apocalittiche? Forse è ancora presto per dirlo: lo scetticismo, è noto, non manca sull'argomento ma è pur sempre innegabile (e ampiamente testimoniato dalla scienza) come il riscaldamento globale stia facendo impazzire il clima. Del resto, le proiezioni dei ricercatori delle Hawaii fanno rabbrividire ma anche se eccedessero nel catastrofismo, non si può dimenticare quello che è stato annunciato appena tre settimane fa dall'organo dell'ONU preposto alla sorveglianza sul clima: il tempo corre e con esso la possibilità di porre un argine a degli stravolgimenti dei quali, probabilmente, nessuno ha ancora concretamente voluto valutare la reale portata; e domani potrebbe essere troppo tardi.