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Covid 19

Da Israele speranze contro la pandemia: dopo 2 dosi di vaccino si infetta solo lo 0,014%

I primi dati sulla vasta campagna vaccinale contro il coronavirus SARS-CoV-2 avviata in Israele sono estremamente positivi. In base ai rapporti diffusi dal Maccabi Health Services e dal Ministero della Salute, a una settimana di distanza dalla seconda dose del vaccino si sta infettando solo lo 0,014 percento degli immunizzati.
A cura di Andrea Centini
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I dati preliminari della vasta campagna vaccinale contro il coronavirus SARS-CoV-2 avviata in Israele sono molto incoraggianti, facendo emergere tassi di protezione del vaccino persino superiori a quelli osservati durante la sperimentazione clinica. Si tratta di un segnale estremamente promettente che lascia ben sperare nella lotta alla pandemia, i cui numeri continuano a crescere continuamente. Basti pensare che ad oggi, martedì 26 gennaio, sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell'Università Johns Hopkins si registrano ben 100 milioni di contagiati (ufficiali) e 2,14 milioni di vittime (in Italia le infezioni complessive sono 2,4 milioni e i decessi circa 86mila). Tra i Paesi più colpiti dalla pandemia di COVID-19 vi è proprio Israele, che a fronte di soli 8,8 milioni di abitanti conta ben 613mila contagi e 4.500 vittime, tra i tassi più elevati in assoluto. Ma Israele è anche il Paese in cui la campagna vaccinale sta procedendo più speditamente al mondo, con il 40 percento della popolazione che ha già ricevuto la prima dose del vaccino. Nello specifico, la preparazione coinvolta è il tozinameran/BNT162b2 messo a punto dal colosso farmaceutico Pfizer in collaborazione con la società di biotecnologie tedesca BioNTech.

Come indicato, le prime informazioni diffuse dalle principali organizzazioni sanitarie del Paese rappresentano un segnale decisamente positivo nella lotta alla pandemia. Mettendo a confronto i dati di 200mila persone di età pari o superiore a 60 anni vaccinate (soltanto con la prima dose) con quelli di altre 200mila persone non ancora vaccinate, è stato dimostrato che, tra i 14 e i 18 giorni dall'iniezione, il primo gruppo ha manifestato un tasso di infezione ridotto del 33 percento. A comunicarlo il Clalit, il più grande fondo sanitario israeliano. Un secondo rapporto del Maccabi Health Services chiamato "KSM – Maccabi Research and Innovation Center –
publishes insights from real-time monitoring of Corona virus vaccination data" ha invece evidenziato che tra i 13 e 21 giorni di distanza dalla ricezione della prima dose, in un campione di 430mila persone il tasso di infezione è stato abbattuto del 60 percento. Potrebbero apparire percentuali relativamente basse, ma ricordiamo che il vaccino di Pfizer per essere totalmente efficace richiede due dosi. Proprio tra chi le ha ricevute entrambe si registrano i risultati più significativi.

Il ministero della Salute israeliano, analizzando i dati di 428mila cittadini che hanno ricevuto entrambe le dosi, ha rilevato che a una settimana di distanza dalla seconda iniezione soltanto in 63 hanno contratto l'infezione. Si tratta dello 0,014 percento. Analogamente, un altro rapporto del Maccabi Health Services ha evidenziato che su 128mila persone vaccinate con due dosi, a oltre una settimana di distanza dalla seconda iniezione solo in 20 hanno contratto il virus, ciò significa lo 0,01 percento. Se consideriamo che l'efficacia del vaccino di Pfizer-BioNTech è attestata al 95 percento – significa che su 100 persone vaccinate solo in 5 esposte al virus restano contagiate – i dati preliminari in Israele mostrano una protezione ancora maggiore. È importante segnalare che i dati non sono stati ancora sottoposti a revisione paritaria, pertanto manca la pubblicazione su una rivista scientifica qualificata. Ma gli esperti sono estremamente fiduciosi su ciò che si sta osservando.

“Questo è un dato molto incoraggiante. Monitoreremo da vicino questi pazienti per esaminare se continueranno a soffrire solo di sintomi lievi e non svilupperanno complicazioni a causa del virus”, ha dichiarato il dottor Anat Ekka Zohar, vicepresidente del Maccabi Health Services. La speranza degli esperti, infatti, è che le persone vaccinate pur contraendo l'infezione non sviluppino la forma grave, risultando quindi protette dalla COVID-19. Un aspetto negativo di essere protetti dalla malattia grave/potenzialmente mortale ma non dall'infezione è il fatto di poter continuare a diffondere il coronavirus, dandogli modo di continuare a circolare nella popolazione ed eventualmente a mutare in varianti più trasmissibili, aggressive o in grado di resistere al vaccino. Ma considerando il grado di protezione rilevato, il virus si troverebbe innanzi a tantissime “porte sbarrate”, e grazie all'immunità di gregge potrebbe diventare in tempi ragionevoli un patogeno endemico, il cui destino, secondo alcuni ricercatori, sarà quello di provocare un “semplice raffreddore”. Al momento Israele si trova nuovamente in lockdown a causa di una terza, drammatica ondata di contagi, che ha causato mille morti in un solo mese sui 4.500 totali dall'inizio della pandemia. Si ritiene che dietro possa esservi la diffusione di una variante più trasmissibile del patogeno. Ma i segnali positivi dalla campagna vaccinale lasciano ben sperare per il futuro.

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