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Covid 19

Covid colpisce duramente anche i giovani: danni agli organi diffusi in quelli ricoverati

Analizzando le cartelle cliniche di oltre 73mila pazienti ricoverati per COVID-19 in 302 ospedali del Regno Unito, un team di ricerca guidato da scienziati dell’Università di Liverpool ha determinato che le complicazioni severe sono diffuse anche nei giovani. Danni a reni, cuore e sistemici i più comuni. Molti non sono in grado di prendersi cura di sé dopo le dimissioni.
A cura di Andrea Centini
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Alla data odierna, venerdì 16 luglio, dall'inizio della pandemia il coronavirus SARS-CoV-2 ha contagiato circa 190 milioni di persone e ne ha uccise 4 milioni, sulla base dei dati ufficiali riportati dall'Università Johns Hopkins. In Italia le infezioni complessive risultano 4,2 milioni mentre i decessi sono 128mila. Numeri che indicano chiaramente che la COVID-19 non è affatto una comune influenza, come molti hanno provato a far credere (e ci provano tuttora). Ma se qualcuno avesse ancora dei dubbi innanzi al catastrofico impatto sanitario, sociale ed economico determinato dalla pandemia, c'è un nuovo studio a dimostrare quanto subdola e pericolosa possa essere l'infezione, anche in giovani in perfetta salute. Il 50 percento dei pazienti che finisce in ospedale per COVID-19, infatti, sviluppa almeno una complicazione della malattia con danni agli organi. Il rischio di sperimentare tali complicanze è solo di poco inferiore per i giovani ricoverati rispetto agli ultracinquantenni.

A determinare l'impatto della COVID-19 nelle diverse fasce d'età è stato un team di ricerca britannico guidato da scienziati della Facoltà di Scienze della Vita e della Salute dell'Università di Liverpool, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Università di Edimburgo, della Divisione di Epidemiologia dell'Università di Nottingham, del Dipartimento di Malattie Infettive, Immunitarie e Cardiovascolari dell'Università di Sheffield e di diversi altri istituti del Regno Unito. I ricercatori, coordinati dal professor Malcolm G. Semple, docente presso l'Istituto di Malattie Infettive – Health Protection Research Unit in Emerging and Zoonotic Infections dell'ateneo di Liverpool, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver effettuato il più approfondito studio di osservazione sugli esiti clinici della COVID-19. Hanno infatti analizzato statisticamente le cartelle cliniche di oltre 73mila pazienti Covid ricoverati in 302 ospedali del Regno Unito, tra il 17 gennaio e il 4 agosto del 2020. Ciò significa durante la prima, catastrofica ondata della pandemia, quando non circolavano le varianti di preoccupazione (quelle attuali sono Alfa, Beta, Gamma e Delta) ma soprattutto non c'erano ancora i vaccini a proteggerci.

Incrociando tutti i dati è emerso che tra i 73.197 pazienti ricoverati per COVID-19, ben in 36.367 hanno sviluppato una o più complicazioni durante la degenza, ovvero, il 49,7 percento. Gli organi più colpiti sono stati i reni e i polmoni, ma sono risultate comuni anche le complicanze sistemiche. Diffusi anche gli effetti cardiovascolari, neurologici, gastrointestinali ed epatici. L'aspetto più significativo di queste complicanze è stata la distribuzione; sebbene gli uomini con più di 60 anni risultavano essere quelli maggiormente colpiti, anche nelle fasce d'età più giovani c'è stata una notevole diffusione di complicanze. Sono state infatti rilevate nel 27 percento dei pazienti tra i 19 e i 29 anni; nel 37 percento di quelli tra i 30 e i 39 anni; nel 44 percento di quelli tra i 40 e i 49 anni; e nel 51 percento degli ultracinquantenni. Non sono ancora noti tutti i meccanismi patologici che possono portare a sviluppare queste complicazioni, tuttavia si ritiene che un ruolo importante sia giocato da una reazione immunitaria spropositata in risposta all'invasione virale.

“Il messaggio è che questa non è solo una malattia degli anziani e dei fragili”, ha dichiarato alla BBC il professor Semple. “I dati rafforzano il fatto che la Covid non è un'influenza e stiamo vedendo che anche i giovani adulti entrano in ospedale con complicazioni significative, alcune delle quali richiederanno un ulteriore monitoraggio e potenzialmente ulteriori cure in futuro”, ha aggiunto lo scienziato. “I pazienti in ospedale con COVID-19 hanno spesso avuto complicazioni della malattia, anche quelli in fasce di età più giovani e senza condizioni di salute preesistenti”, gli ha fatto eco il professor Ewen Harrison, coautore dello studio. “Queste complicazioni potrebbero influenzare qualsiasi organo, ma colpiscono in particolare i reni, il cuore e i polmoni. Quelli con complicazioni hanno avuto una salute peggiore al momento delle dimissioni dall'ospedale e alcuni avranno conseguenze a lungo termine. Ora abbiamo una comprensione più dettagliata della COVID-19 e dei rischi che comporta, anche per i più giovani altrimenti sani”, ha chiosato l'esperto.

Le complicanze acute sono associate a una ridotta capacità di prendersi cura di sé al momento della dimissione, anche nei pazienti giovani, mentre le complicanze neurologiche sono state associate ai peggiori esiti funzionali, hanno scritto Semple e colleghi nell'abstract dello studio. Gli esperti ritengono probabile che l'elevata incidenza di complicazioni avrà un notevole impatto sociale e sull'assistenza sanitaria dei prossimi anni, pertanto sottolineano che restrizioni e sforzi per accelerare la campagna vaccinale non devono solo tener conto dei tassi di mortalità, ma anche di quante persone avranno postumi significativi dopo l'infezione. Il professor Semple e i colleghi indicano inoltre che le complicanze evidenziate nello studio sono una cosa diversa dai sintomi della Long Covid, che può colpire anche i pazienti paucisintomatici e asintomatici. Dunque gli effetti socio-sanitari combinati saranno ancor più pesanti, per questo si invitano anche i giovani a sottoporsi al più presto al vaccino. I dettagli della ricerca “Characterisation of in-hospital complications associated with COVID-19 using the ISARIC WHO Clinical Characterisation Protocol UK: a prospective, multicentre cohort study” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica The Lancet.

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