Così le fogne possono aiutarci a scoprire i nuovi focolai di coronavirus
Tra i sintomi dell'infezione da coronavirus SARS-CoV-2 figurano anche i problemi gastrointestinali, in particolar modo la diarrea, come rilevato dalle indagini sui pazienti in tutto il mondo. Ciò avviene perché le cellule dei tessuti intestinali sono ricche di recettori ACE2, quelli cui la proteina S o Spike del patogeno si lega per distruggere la parete cellulare, avviare l'invasione, il processo di replicazione e dunque la malattia. Per questo motivo l'RNA virale del SARS-CoV-2 può essere rilevato anche nelle feci dei positivi – anche prima che si manifestino i sintomi – e di conseguenza nelle acque reflue prelevate dai sistemi fognari. L'Istituto Superiore di Sanità, ad esempio, ha rilevato tracce del coronavirus nelle fognature di Bologna, Milano e Torino già a partire da dicembre 2019, quando nessuno si immaginava cosa sarebbe accaduto da lì a un paio di mesi di distanza nel nostro Paese. All'epoca, del resto, mentre in Cina si facevano sempre più numerosi i casi di una “misteriosa polmonite”, ancora non era stato classificato ufficialmente il patogeno responsabile.
Poiché il coronavirus SARS-CoV-2 può essere rilevato nelle acque reflue, così come nei fanghi di depurazione – il residuo ottenuto dal trattamento delle acque di scarico – scienziati e istituzioni di varie comunità hanno iniziato a monitorarle come una sorta di segnale di preallarme, proprio perché il virus è presente nelle feci prima della comparsa dei sintomi, così come in quelle degli asintomatici. Basti pensare a ciò che è avvenuto nel dormitorio Likins Hall nel campus dell'Università dell'Arizona; analizzando regolarmente le acque dei sistemi fognari del complesso, dopo aver individuato tracce del coronavirus è stato deciso di sottoporre al tampone rino-faringeo tutti gli studenti. Ne sono stati individuati due positivi senza sintomi, e avviando il tracciamento dei contatti – con relativi isolamenti – è stato possibile spegnere un potenziale focolaio. Il tutto grazie all'analisi delle acque reflue.
Come riportato da The Verge, gli scienziati della prestigiosa Università di Yale monitorano le concentrazioni di coronavirus nelle acque reflue e nei fanghi di depurazione di New Haven (Connecticut) ogni giorno, accorgendosi che i livelli si sono alzati in modo significativo una settimana prima dello scoppio di focolai significativi in vari punti della città. “Ci aspettiamo che i casi ripartano perché le persone fanno le loro vite, interagiscono con la comunità, vanno nei ristoranti e prendono i mezzi pubblici. Inevitabilmente, ci sarà una maggiore opportunità di esposizione al virus”, ha dichiarato il professor Jordan Peccia, docente di Ingegneria Chimica e Ambientale presso l'Università di Yale. Monitorare le acque reflue, ha aggiunto lo scienziato “ci darà l'opportunità di agire un po' più rapidamente rispetto alla dipendenza dai dati ospedalieri”.
Anche a Carmel, in Indiana, come spiegato da The Verge stanno adottando lo stesso sistema. “È un modo per capire se abbiamo un picco, sappiamo che dobbiamo tornare indietro su alcune delle nostre riaperture”, ha spiegato il sindaco della città Jim Brainard. “Speriamo di non doverlo fare, ma almeno abbiamo i dati per prendere una decisione informata”. Il primo cittadino ha spiegato che si potrebbero effettuare test anche per i singoli grandi edifici, e nel caso in cui si dovesse scoprire la presenza del coronavirus vanno sottoposto al tampone tutti i residenti, per individuare i positivi e tracciare i contatti. È un lavoro enorme che richiede un grande impegno dei laboratori, visto il numero di analisi da effettuare, ma può essere estremamente efficace per prevenire l'emersione di nuovi focolai, proprio come avvenuto per il dormitorio dell'Università dell'Arizona.