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Cosa succede quando un vaccino anti COVID supera la Fase 3 della sperimentazione

Dei circa 200 vaccini candidati contro il coronavirus SARS-CoV-2 in sperimentazione, una manciata si trova nella cruciale Fase 3 della sperimentazione clinica, quella che precede l’immissione in commercio e serve a dimostrare sicurezza ed efficacia della preparazione. Ma cosa significa davvero che un vaccino anti COVID è efficace?
A cura di Andrea Centini
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Sulla base del documento “Draft landscape of COVID-19 candidate vaccines” dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel momento in cui stiamo scrivendo ci sono 198 vaccini candidati in sperimentazione contro il coronavirus SARS-CoV-2. La maggior parte di essi, 154, si trova ancora nella fase preclinica della sperimentazione, viene cioè testata su colture di cellule su piastre di Petri (test in vitro) o modelli animali, mentre i restanti 44 sono stati già testati sull'uomo nei trial clinici. Fra questi ultimi ce ne sono almeno 6 entrati nella cruciale sperimentazione di Fase 3, quella che, una volta superata, determina l'efficacia e la sicurezza della preparazione, spalancando le porte all'autorizzazione da parte delle autorità competenti. Il processo normalmente dura diversi anni, ma a causa della pandemia in corso forse si riuscirà a concluderlo in 12-18 mesi per alcune preparazioni.

Ma cosa significa effettivamente superare la Fase 3 della sperimentazione? A spiegarlo nel dettaglio è la dottoressa Sarah L. Caddy, esperta di immunologia virale e chirurgo veterinario presso l'Università di Cambridge. In un articolo pubblicato su “The Conversation” la scienziata sottolinea che i trial clinici in corso puntano a confrontare la sicurezza (ovvero la tollerabilità, l'assenza di effetti collaterali gravi) e l'efficacia del potenziale vaccino con quelle di un placebo, e l'obiettivo finale, naturalmente, è determinare se la preparazione riduce o meno il rischio di sviluppare la COVID-19, l'infezione provocata dal coronavirus SARS-CoV-2. Come indicato nel rapporto “Will covid-19 vaccines save lives? Current trials aren’t designed to tell us” pubblicato sul British Medical Journal dal dottor Peter Doshi, la protezione è considerata tale quando la COVID-19 si presenta con un certo insieme di sintomi, che è specifico per ciascuno studio. Per fare un esempio, un paziente coinvolto in uno studio di Fase 3, viene definito malato di COVID-19 se oltre al tampone molecolare positivo ha mal di testa, tosse, febbre, difficoltà respiratorie e via discorrendo, ma per i vari trial i sintomi contemplati possono essere diversi. L'unica certezza è che non si fa distinzione tra la la forma lieve e grave (e potenzialmente letale) della malattia.

Gli studi attualmente in corso, spiega Doshi, non sono tuttavia progettati per indicarci se i vaccini saranno in grado o meno di salvare vite, perché appunto non distinguono fra le forme dell'infezione. “Idealmente, vuoi che un vaccino antivirale faccia due cose: in primo luogo, ridurre la probabilità di ammalarsi gravemente e di finire in ospedale, e seconda cosa, prevenire l'infezione e quindi interrompere la trasmissione della malattia”, ha dichiarato il professor Peter Hotez, docente della National School of Tropical Medicine presso il prestigioso Baylor College of Medicine di Houston. “Gli attuali test di Fase III non sono effettivamente impostati per dimostrare questi aspetti”, chiosa Doshi. “Nessuno degli studi attualmente in corso è progettato per rilevare una riduzione di esiti gravi come ricoveri ospedalieri, necessità di terapia intensiva o morte. Né i vaccini vengono studiati per determinare se possono interrompere la diffusione del virus”, ha aggiunto l'editor del British Medical Journal.

La dottoressa Caddy sottolinea che nella sperimentazione di Fase 3 del vaccino di Moderna, la preparazione verrà definita efficace al 60 percento se solo 151 persone sulle 30mila coinvolte svilupperanno COVID-19 con determinati sintomi. Secondo questo schema, non si può sapere se il vaccino proteggerà davvero dal rischio di morte o di finire in ospedale per la malattia grave, ma solo se si risulterà positivi con specifici sintomi. “Per dimostrare che un vaccino protegge solo da casi gravi o fatali sarebbe necessario il reclutamento di molte più persone per ciascuna sperimentazione. Con prove che già coinvolgono decine di migliaia di partecipanti, questo non è realistico in questa fase”, specifica la dottoressa Caddy, aggiungendo che prove di questo tipo richiederebbero moltissimo tempo in più e denaro per essere portate avanti. Considerando il catastrofico impatto della pandemia a livello sanitario ed economico, tuttavia, non c'è tempo da perdere e in questa fase si è deciso di valutare un generico grado di protezione negli studi di Fase 3. “Mentre la gravità della malattia non è al centro dell'esito dello studio – spiega la studiosa – tutte le indagini in corso stanno ancora monitorando attentamente la gravità di tutti i casi di COVID-19. Da questi dati si possono ancora trarre valide conclusioni, anche se la significatività statistica non può essere dimostrata”.

Un altro “limite” degli studi di Fase 3 in corso risiede nel fatto che sono coinvolti nella maggior parte dei casi adulti sani, e non le categorie più vulnerabili all'infezione, come anziani fragili, persone con determinate patologie, sistema immunitario deficitario e via discorrendo. La studiosa dichiara che questo non deve essere visto come un difetto “grave”, dato che meno adulti si ammaleranno e rischi inferiori ci saranno anche per le categorie a rischio, anche se i risultati ottenuti non si applicano direttamente ad essi. La scienziata conclude che solo quando l'intera popolazione umana sarà vaccinata sarà possibile determinare la vera efficacia di un vaccino. La sperimentazione di altre preparazioni andrà comunque avanti per molto tempo, e non si arresterà di certo con l'immissione del primo vaccino, prevista per la fine dell'anno secondo gli scenari più ottimistici.

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