Cosa sono le “cure domiciliari” anti Covid e perché non sostituiscono il vaccino
Come non ci permettiamo di discutere con gli ingegneri aeronautici sul numero di pale necessario per far volare un elicottero, dovremmo mantenere il medesimo rispetto e atteggiamento verso il lavoro di medici e scienziati, che da oltre un anno e mezzo sono costantemente impegnati (con immensi sacrifici) per farci uscire dalla pandemia e salvare vite umane. Ciò nonostante, troppo spesso l'ideologia, la becera propaganda, il complottismo e talvolta anche i meri interessi politici hanno preso il sopravvento; ciò ha spinto molte persone suscettibili a credere di sapere cosa sia meglio per se stesse o per i propri cari contro un virus mortale, magari dopo essersi documentate sui social network o sul più inaffidabile dei blog. Una delle conseguenze più distorte di questa situazione è la nascita dell'assurda contrapposizione tra la vaccinazione anti Covid e le cure domiciliari. Non sono pochi i cosiddetti “novax” che sbandierano al vento il proposito di non vaccinarsi perché tanto ci sono le cure domiciliari a salvar loro la vita. Già il fatto di confondere la prevenzione con la cura lascia il tempo che trova, a maggior ragione se si considera che anche i giovani con la forma lieve rischiano danni al cuore e ai vasi sanguigni (per questo i virologi sottolineano che è meglio non prenderlo proprio, il virus), ma i nobili intenti delle terapie domiciliari e di chi si batte per migliorarne la fruizione sono stati spesso piegati a uso e consumo dell'ideologia. In questo modo le cure a casa sono state trasformate nella panacea di tutti i mali, che avrebbe salvato la vita agli oltre 4,1 milioni di morti per COVID-19 (128mila dei quali solo in Italia).
Come evidenziato nel recente rapporto “Il percorso del paziente con Covid-19, dalle cure domiciliari tradizionali al linkage to care con i centri specialistici” firmato dalla Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG) e dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), la COVID-19 è un'infezione che porta alla morte oltre il 2 percento dei soggetti con infezione sintomatica accertata. Si sottolinea quanto segue: “Nell'attesa che la vaccinazione di massa consenta di evitare la malattia grave e l'accesso all'ospedale, l'assistenza portata a domicilio con terapie sintomatiche rappresenta il perno della gestione dei pazienti con COVID-19”. È dunque il vaccino l'arma più preziosa che abbiamo per evitare di finire in ospedale e vincere la pandemia; del resto è facilmente intuibile che prevenire è molto meglio che curare. Nel malaugurato caso in cui ci si dovesse contagiare, tuttavia, affinché le cure domiciliari abbiano l'effetto sperato è fondamentale che l'infezione sia presa precocemente e trattata con altrettanta tempestività. Come spiegato da SIMG e SIMIT ora abbiamo a disposizione anche gli anticorpi monoclonali, un altro trattamento preventivo che può essere somministrato a domicilio nei pazienti vulnerabili, cioè quelli più a rischio di sviluppare le complicazioni potenzialmente fatali dell'infezione (ad esempio gli anziani con comorbilità alla stregua di ipertensione, diabete, obesità etc etc).
Il fatto che oltre il 90 percento dei positivi sviluppi una forma lieve o moderata della COVID-19 significa che la stragrande maggioranza di essi può essere monitorata tranquillamente a casa, ma una parte dei pazienti rischia comunque una significativa desaturazione dell'ossigeno, polmoni pieni di liquidi, la famigerata tempesta di citochine e altre complicazioni della COVID-19 che vanno necessariamente trattate in ospedale. Purtroppo possono manifestarsi anche nei pazienti giovani che prima dell'infezione erano perfettamente sani e dunque non è sempre possibile prevedere chi le svilupperà. Le cure domiciliari servono a monitorare i parametri vitali dei pazienti contagiati, a contrastare i sintomi dell'infezione ed evitare che peggiori, attraverso la somministrazione dei farmaci che i medici ritengono più opportuni a seconda del caso. Proprio su questo punto si è combattuta la battaglia legale tra Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco e il “Comitato Cura Domiciliare Covid-19”. La famosa nota dell'AIFA in cui si raccomandavano “vigile attesa” e trattamenti sintomatici (ad esempio con paracetamolo) fu duramente contestata dal comitato, che vinse il primo round presso il TAR del Lazio. Successivamente, tuttavia, il Consiglio di Stato ha ripristinato la suddetta nota. Lo scontro si è combattuto soprattutto sul fatto che sebbene non fosse precluso ai medici di adottare la terapia ritenuta più idonea per ciascun paziente, ci sarebbe comunque stato uno scostamento dalla linea guida dell'AIFA e dunque un'assunzione di responsabilità da parte del medico, con tutte le potenziali conseguenze del caso.
Nella nota dell'AIFA tra i farmaci raccomandati per le cure domiciliari figurano principalmente paracetamolo e FANS (farmaci anti-infiammatori non steroidei) per combattere febbre, dolori muscolari e altri sintomi dell'infezione, mentre “altri farmaci sintomatici possono essere utilizzati su giudizio clinico”. Tra essi le eparine e i corticosteroidi. I medici e gli avvocati del comitato Cura Domiciliare Covid-19 ritengono che ci siano dei limiti in questo approccio e chiedono a gran voce che venga stabilito un protocollo nazionale di cura domiciliare con un rafforzamento della medicina territoriale, che deve passare “anche attraverso la creazione in ogni Regione delle unità mediche pubbliche di diagnosi e cura domiciliare del covid-19 (USCA)”. L'intento, dunque, è nobilissimo. Purtroppo in molti casi le preziose cure domiciliari sono state trasformate in una sorta di bandiera da chi non vuole vaccinarsi, mettendo in pericolo se stesso, i propri cari e la comunità tutta, favorendo altresì la circolazione del coronavirus SARS-CoV-2 e magari la nascita di nuove varianti sempre più pericolose.