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Covid 19

Cosa sappiamo sullo Sputnik V, il vaccino russo anti COVID: i dati su sicurezza ed efficacia

Presentato ad agosto dello scorso anno durante una conferenza stampa presieduta da Vladimir Putin, il vaccino anti COVID russo sviluppato dal Gamaelya Research Institute di Mosca si candida a essere un protagonista anche nella campagna vaccinale europea. Lo “Sputnik V” potrebbe essere infatti presto approvato dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA). Ecco cosa sappiamo su funzionamento, efficacia e sicurezza.
A cura di Andrea Centini
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La lunga battaglia contro la pandemia di COVID-19 si vince anche con il vaccino, grazie al quale si punta a raggiungere al più presto l'agognata immunità di gregge. Ma se le dosi disponibili non vengono distribuite per tutti nei tempi previsti, si rischia di renderla ancor più logorante e permettere inoltre al virus di dar vita a nuove varianti, potenzialmente in grado di “resistere” ai vaccini già in circolazione. Alla luce dei recenti rallentamenti nella distribuzione delle dosi dello Pfizer-BioNTech e dell'annunciato taglio netto di quelle di Oxford-Irbm-AstraZeneca, farmaco che dovrebbe essere approvato alla fine di gennaio dall'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), inizia a circolare con insistenza l'interesse sul vaccino russoSputnik V” (o Gam-COVID-Vac), sviluppato dagli scienziati dal Gamaleya Research Institute di Mosca. Sarebbero già stati avviati i contatti con l'Unione Europea e presto l'agenzia regolatoria potrebbe approvarlo per l'uso di emergenza. Ma cosa sappiamo su questo vaccino?

L'efficacia del vaccino russo

Presentato nel mese di agosto durante una conferenza stampa presieduta niente meno che da Vladimir Putin in persona, il vaccino anti COVID russo è stato promosso come “sicuro ed efficace”, in grado di innescare una robusta risposta immunitaria nei volontari coinvolti nella sperimentazione e senza dar vita a reazione avverse gravi. Non a caso Putin è stato orgoglioso di annunciare la partecipazione alla ricerca anche di una delle sue figlie. I primi dati sull'efficacia sono stati presentati al pubblico all'inizio di settembre 2020, con la pubblicazione di un articolo sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet e successivi comunicati del Gamaleya Research Institute. Lo scorso 25 novembre un'indagine preliminare sui dati dello studio clinico di Fase 3 ha fatto emergere una efficacia superiore al 90 percento, paragonabile a quella delle preparazioni di Pfizer-BioNTech e Monderna-NIAID. “L'efficacia del vaccino Sputnik V è del 91,4 percento, sulla base dei dati preliminari ottenuti 28 giorni dopo la somministrazione della prima dose (7 giorni dopo la seconda dose). I dati preliminari ottenuti 42 giorni dopo la prima dose indicano un'efficacia superiore al 95 percento”, hanno scritto gli scienziati dell'istituto moscovita. Benché i dati siano stati messi nel mirino da diversi scienziati, in particolar modo proprio di quelli italiani, oggi in molti si stanno convincendo delle proprietà protettive dello Sputnik V, pur essendo stato “nazionalizzato” dai russi (il nome scelto, non a caso, è quello del pionieristico programma satellitare sovietico che permise ai russi di portare in orbita il primo satellite della storia, lo Sputnik, appunto). A mettere una “buona parola” sul vaccino russo vi è anche il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell'istituto Mario Negri di Milano, intervistato alla trasmissione “Uno, nessuno, 100Milan” su Radio24. Il vaccino “sostanzialmente funziona. Somiglia molto a quello di AstraZeneca e se siamo in difficoltà, va bene anche il vaccino russo”, ha spiegato lo scienziato. “Ho visto il lavoro, perché la rivista Lancet ce lo ha fatto vedere prima che fosse pubblicato. È un lavoro non perfetto, ma fa vedere che il vaccino sostanzialmente funziona”, ha aggiunto Remuzzi, specificando che comunque i dati dovranno essere sottoposti ai rigidi controlli dell'EMA, e dunque in caso di approvazione avremo la certezza sia dell'efficacia che della sicurezza.

Come funziona il vaccino russo

Lo Sputnik V si basa su una combinazione di due adenovirus non replicanti – ricombinanti (chiamati rispettivamente rAd26-S e rAd5-S) che sono stati sviluppati con un gene del coronavirus SARS-CoV-2. In parole semplici, i due ceppi di adenovirus resi innocui dall'ingegneria genetica vengono sfruttati come navette di trasporto per presentare al nostro organismo la proteina S o Spike del coronavirus SARS-CoV-2. Si tratta della glicoproteina a forma di “ombrellino” che costella il guscio esterno (pericapside o peplos) del patogeno, che viene sfruttata come un grimaldello biologico per legarsi al recettore ACE2 sulle cellule umane e rompere la parete cellulare. In questo modo l'RNA virale viene trasferito all'intero e ha inizio la replicazione, il processo che è alla base dell'infezione chiamata COVID-19. Non è un caso che i vaccini anti COVID puntino a sviluppare immunità proprio la proteina S, impedendo al patogeno di legarsi alle cellule umane e dunque a non innescare la malattia.

Gli effetti collaterali del vaccino russo

Nello studio clinico di Fase 1-2 pubblicato su The Lancet il vaccino russo ha dimostrato di innescare una robusta risposta anticorpale senza determinare l'insorgenza di reazioni avverse severe. Sono emersi infatti i tipici effetti collaterali minori legati a una qualsiasi vaccinazione, come ad esempio quella contro l'influenza. Tra gli eventi rilevati il dolore al sito dell'iniezione in circa il 60 percento dei partecipanti; un aumento della temperatura corporea (ipertermia) nel 50 percento; mal di testa nel 43 percento; astenia nel 30 percento circa e il dolore muscolare e articolare in un quarto dei partecipanti allo studio. “La maggior parte degli eventi avversi è stata lieve e non sono stati rilevati eventi avversi gravi. I cambiamenti nelle variabili di laboratorio sono stati lievi e transitorie. Entrambe le formulazioni del vaccino erano sicure e ben tollerate”, hanno dichiarato gli scienziati nello studio pubblicato sull'autorevole rivista scientifica.

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