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Covid 19

Cosa sappiamo sull’efficacia del mix di diversi vaccini anti-Covid

I primi dati sperimentali sull’uso di Pfizer dopo la prima dose di Astrazeneca suggeriscono che la combinazione eterologa può essere particolarmente vantaggiosa, producendo una robusta risposta immunitaria. Gli effetti collaterali sono paragonabili a quelli della vaccinazione omologa, anche se quando la somministrazione è avvenuta a distanza di sole 4 settimane è stato riportato un aumento delle reazioni sistemiche.
A cura di Valeria Aiello
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Con lo stop all’utilizzo di Astrazeneca per gli under 60, si fermano anche i richiami anti-Covid con il siero anglo-svedese per chi ha già fatto la prima dose. In sostituzione, verrà impiegato un vaccino a mRNA (Pfizer-BioNTech o Moderna), per i quali non ci sono evidenze di fenomeni trombotici nei vaccinati. Alt dunque a prime e seconde dosi di Vaxzevria per la fascia di età tra i 18 e i 60 anni, in un cambio di strategia che rende di fatto marginale l’uso di Astrazeneca per il prosieguo della campagna vaccinale in Italia. Ma oltre all’analisi rischi/benefici di Astrazeneca per i più giovani, che ha fatto propendere la bilancia per l’inversione di rotta, su quali dati si basa la scelta di aprire all’uso di un vaccino diverso per il richiamo? Il presidente del Consiglio Superiore di Sanità e coordinatore del Comitato tecnico Scientifico ha parlato di “presupposti teorici o realistici” perché ci sono “studi già disponibili che documentano il vantaggio della combinazione”.

Il mix può aumentare la risposta immunitaria

A indicare che l’approccio può essere particolarmente vantaggioso sono tre recenti studi, in cui ricercatori hanno osservato che la somministrazione di una prima dose di Astrazeneca e il richiamo con Pfizer-BionTech “produce una robusta risposta immunitaria” senza particolare aumento degli effetti collaterali.

I primi dati sperimentali sui cosiddetti programmi di vaccinazione eterologa – ovvero che prevedono l’utilizzo di un vaccino diverso per prima dose e richiamo – suggeriscono inoltre che la combinazione può fornire al sistema immunitario diversi modi di riconoscere il patogeno e, nel caso di uno studio condotto presso l’ospedale universitario Charité di Berlino, può aumentare la risposta immunitaria cellulo-mediata (cellule T) che può accrescere la protezione complessiva, aiutando l’organismo a eliminare le cellule già infette.

Questa indagine, disponibile in preprint su MedRXiv, ha coinvolto complessivamente 340 operatori sanitari, di cui 61 hanno ricevuto una prima dose di Astrazeneca e una seconda di Pfizer-BioNtech a distanza di 10-12 settimane. “La vaccinazione eterologa – dicono i ricercatori –  è stata nel complesso ben tollerata e la reattogenicità (le reazioni locali e sistemiche, ndr) è stata ampiamente paragonabile alla vaccinazione omologa con due dosi di Pfizer/BioNTech, con un lieve aumento dell’immunogenicità (la capacità di indurre risposta immunitaria, ndr)”.

Uno studio più ampio, che ha coinvolto 676 persone in Spagna, di cui 441 hanno ricevuto una dose di Pfizer-BioNTech a 8 settimane di distanza da una dose iniziale di Astrazeneca, ha analogamente mostrato pochi effetti collaterali e una forte risposta anticorpale a due settimane dal richiamo, con “un aumento di quattro volte della risposta immunitaria cellulare” indicano i ricercatori nel pre-print pubblicato su The Lancet.

Un altro team di ricerca, che ha condotto uno studio di dimensioni più ridotte (26 persone) a Ulm, in Germania, ha ottenuto risultati comparabili, disponibili sempre su MedRXiv, indicando che il regime di vaccinazione eterologo Astrazeneca/Pfizer-BioNtech “non è associato ad eventi avversi gravi e determina una potente risposta anticorpale e suscita reattività delle cellule T” risultando “almeno altrettanto immunogenico e protettivo quanto le vaccinazioni omologhe”.

Nuovi dati in arrivo

Ulteriori dati sono attesi nelle prossime settimane. Negli Stati Uniti sono stati avviati nuovi trial clinici e anche l’Università di Oxford sono allo studio otto diverse combinazioni di richiamo, utilizzando i vaccini di Astrazeneca e BioNTech con intervalli di 4-12 settimane.

Questo gruppo di ricerca, guidato dal vaccinologo dell’Oxford Vaccine Group Matthew Snape, ha già riportato su The Lancet i primi risultati di reattogenicità, osservando che le persone che hanno ricevuto il vaccino a mRNA a distanza di sole 4 settimane dopo Astrazeneca hanno riportato un aumento degli effetti collaterali sistemici rispetto a coloro che hanno ricevuto due dosi dello stesso vaccino. Questi, in attesa dei dati sulla risposta immunitaria che “verranno pubblicati a breve” e di conoscere i riscontri relativi agli altri regimi di somministrazione. Lo stesso programma è stato inoltre ampliato per includere l’analisi della risposte alle seconde dosi del siero a mRna di Moderna e dl vaccino Novavax.

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