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Covid 19

Cosa sappiamo sulla terza dose del vaccino anti COVID e perché sarà importante

La stragrande maggioranza dei vaccini anti COVID approvati si basa su una doppia dose, ma in futuro è molto probabile che avremo a che fare una terza, quarta, quinta dose e così via. Molti esperti ritengono infatti che la vaccinazione contro il coronavirus SARS-CoV-2 possa diventare ciclica e annuale come quella contro l’influenza, una strategia che renderà il patogeno endemico e controllabile.
A cura di Andrea Centini
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La maggior parte degli scienziati, tra i quali anche il microbiologo Andrea Crisanti, è convinta che ormai non siamo più in grado di eliminare il coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della pandemia di COVID-19 che stiamo vivendo. Il virus è infatti talmente diffuso e radicato nella popolazione umana che siamo destinati a conviverci, come facciamo con quelli responsabili dell'influenza e di altre patologie. Del resto, come spiegato dallo stesso Crisanti, ad oggi siamo riusciti a eliminare soltanto una malattia con le vaccinazioni (il vaiolo) e siamo vicini a farlo con la polio, ma sono stati necessari decenni di dura battaglia. Insomma, a questo punto eradicare il nuovo coronavirus sarebbe fuori discussione, ma grazie all'imponente campagna vaccinale in corso si punta a restringerne significativamente il campo d'azione, a farlo diventare endemico, controllabile e socialmente accettabile. Il tutto grazie alle “porte chiuse” chi si troverà innanzi con l'immunità di gregge, che ci si augura possa essere raggiunta in Italia e nel resto d'Europa entro l'estate di quest'anno.

Ma convivere col coronavirus SARS-CoV-2 significa soprattutto una cosa; che le dosi di vaccino che stiamo prendendo adesso per proteggerci non basteranno anche per il futuro, e sarà necessario tornare a vaccinarci ciclicamente per rinvigorire le difese immunitarie. Insomma, servirà una terza, quarta, quinta dose e via discorrendo. Veri e propri richiami che ci terranno al sicuro dalle complicazioni fatali della COVID-19, la malattia provocata dal virus. Perché se è vero che l'efficacia dei diversi vaccini attualmente disponibili è variabile contro la patologia sintomatica, la protezione è per tutti al 100 percento contro il rischio di morire a causa dell'infezione. Ad oggi ancora non vi è certezza sulla durata dell'immunità garantita dall'infezione naturale e dalla vaccinazione; per la prima, diversi studi indicano uno “scudo” di almeno 6-8 mesi (ma c'è anche ci dice che potrebbe durare decenni), mentre per l'immunizzazione dei vaccini si ritiene che la protezione possa durare di più, tra i 9 e 12 mesi come indicato anche dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Ciò che è certo, è che non ci troviamo innanzi a vaccini come quelli contro il papilloma virus umano o altre condizioni in grado di proteggerci per tutta la vita. Servirà vaccinarsi ogni anno come facciamo contro i molteplici e mutevoli virus dell'influenza.

Proprio l'insorgenza di forme mutate del coronavirus potenzialmente in grado di eludere gli anticorpi neutralizzanti, come si ritiene possano fare le varianti sudafricana e brasiliana a causa della mutazione E484K sula proteina S o Spike, sarà una ulteriore spinta – assieme alla durata limitata dell'immunità – a fare i richiami del vaccino anti COVID, con formulazioni sempre aggiornate per tenere a bada i nuovi ceppi preoccupanti. Non a caso diversi Paesi si stanno già organizzando per offrire la terza dose a chi ha ricevuto le prime due durante la fase iniziale della campagna vaccinale in corso, che ha coinvolto soprattutto gli operatori sanitari. Il Regno Unito, il primo Paese europeo ad avviare le vaccinazioni, inizierà a iniettare la terza dose a partire dal mese di settembre. “Alcune persone riceveranno tre dosi nel giro di dieci mesi”, ha dichiarato al Daily Telegraph il dottor Nadhim Zahawi, sottosegretario alla Sanità britannico.

Nelle scorse settimane il colosso farmaceutico Pfizer, che ha messo a punto il vaccino anti COVID BNT162b2/Tozinameran in collaborazione con la società di biotecnologie tedesca BioNTech, ha annunciato di avere sul tavolo un trial clinico nel quale verrà valutata l'efficacia di un richiamo con una terza dose, in particolar modo per verificare l'impatto della dose supplementare contro le varianti circolanti e quelle che potrebbero emergere. Ai partecipanti verrà somministrata una ulteriore dose da 30 microgrammi, a 6/12 mesi di distanza dalla seconda. “Anche se non abbiamo prove che le varianti circolanti comportino una perdita della protezione fornita dal nostro vaccino, stiamo adottando più misure per agire con decisione ed essere pronti nel caso in cui un ceppo diventi resistente al vaccino. Questo studio di richiamo è fondamentale per comprendere la sicurezza e l'immunogenicità di una terza dose contro i ceppi circolanti”, ha dichiarato il presidente e amministratore delegato di Pfizer Albert Bourla. “Allo stesso tempo, stiamo facendo opportuni investimenti e dialoghiamo con le autorità regolatorie per prepararci eventualmente a sviluppare un vaccino a mRna aggiornato o di richiamo, se necessario, e richiederne l'autorizzazione”, ha aggiunto il veterinario greco a capo del colosso americano.

La convivenza prolungata e le vaccinazioni cicliche contro il coronavirus SARS-CoV-2 sono dunque quasi una certezza, ma naturalmente non avremo più a che fare con il “mostro” che ad oggi ha ucciso oltre 2,7 milioni di persone in tutto il mondo. Quando verrà "isolato" nella forma endemica non ci saranno più i numeri sconvolgenti di decessi e ricoveri in terapia intensiva che ogni giorno leggiamo nei bollettini, proprio grazie all'immunità di gregge scaturita dalla costante campagna vaccinale. Inoltre, secondo molti scienziati, nei prossimi anni la COVID-19 potrebbe trasformarsi in un semplice raffreddore, come evidenzia l'articolo “Immunological characteristics govern the transition of COVID-19 to endemicity” pubblicato sull'autorevole rivista scientifica Science da un team di ricerca americano, composto da scienziati dell'Università Emory di Atlanta e dell'Università Statale della Pennsylvanya.

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