Coronavirus, per esperto possibili casi in Italia: “Maggiore preoccupazione, ma niente panico”
Negli ultimi giorni la diffusione del nuovo coronavirus emerso in Cina (2019-nCoV) si è allargata sensibilmente, facendo registrare un significativo aumento del numero di contagiati e delle vittime. Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa che monitora la diffusione dell'infezione, le persone cui è stata diagnosticata l'infezione sono 4.474, mentre i morti sono 107. Alla luce dei recenti sviluppi, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato il livello di rischio globale come elevato, mentre la Cina sta attuando misure senza precedenti per contenere l'epidemia emersa a Wuhan: città completamente isolate, chiusura di scuole e università a tempo indeterminato e blocco dei trasporti sono solo alcune di esse. La situazione è in repentino mutamento, e per comprendere meglio quali sono i rischi legati al nuovo coronavirus abbiamo nuovamente intervistato il professor Fabrizio Pregliasco, virologo presso il Dipartimento Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano, Vice Presidente Nazionale dell’A.N.P.A.S. (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) e Direttore Sanitario della Casa di Cura Ambrosiana SRL di Cesano Boscone. Ecco cosa ci ha raccontato.
Coronavirus 2019 n-cov: una situazione in evoluzione
Professor Pregliasco, la situazione rispetto ad alcuni giorni fa sembra essere cambiata in negativo per quanto concerne il coronavirus emerso in Cina. Non solo è stata confermata la trasmissione da uomo a uomo, ma sembra che essa possa avvenire addirittura durante il periodo di incubazione, in assenza di sintomi.
Ci sono degli elementi di preoccupazione maggiore. Io però sono dell'idea che non bisogna cadere nel panico o comunque evidenziare che la situazione sta debordando. Giustamente l'OMS, sulla base dell'evoluzione della situazione, ha detto che si tratta di un'emergenza globale. È una dichiarazione non dico burocratica, ma formale e necessaria per determinare ciò che l'OMS può fare. Cioè mettere insieme ricercatori, strutture, perché la battaglia la si vince se c'è un coordinamento. Diciamo così, è una chiamata alle armi alla luce di alcuni elementi aggiuntivi, come la probabile diffusività anche durante il periodo di incubazione – e forse anche degli asintomatici – che la SARS non aveva. Questo è sicuramente l'elemento peggiore. Per la SARS abbiamo avuto la fortuna che il contagio avveniva solo se si era sintomatici; la sfortuna attuale è questa. C'è questo elemento di difficoltà nell'individuazione degli eventuali casi secondari e quindi la difficoltà di beccare il virus. Quindi l'opera immensa che la Cina sta facendo è fondamentale; bisogna però vedere per quanto tempo riuscirà a tenerla, perché sta fermando un'economia, così come la qualità della vita delle persone; non è che possono restare sempre chiuse in casa.
Alla luce di ciò, quali sono i rischi per l'Italia?
Io temo che dei casi possano arrivare anche in Italia. Ci sono stati in Germania, in Francia; considerando i 14 giorni di incubazione, ora si possono magari presentare casi tra quelle persone che sono arrivate sane, che sono passate ai controlli diversi giorni fa, all'inizio dell'epidemia. Quindi fuocherelli che risalgono, secondo me, dobbiamo aspettarceli. Io dico che in questi casi di emergenza bisogna sempre eccedere nelle prescrizioni, puntando allo scenario peggiore e poi monitorare la situazione. Io credo che l'Italia sia una delle nazioni che sin da subito ha fatto azioni organizzative in modo sistematico, perché qui non è la signora Maria che si deve preoccupare e mettere la mascherina, ma è un'intera organizzazione. Tutto sommato con la SARS, l'aviaria, l'H1N1, diciamo che dal punto di vista organizzativo, delle azioni di sanità pubblica, di controllo, di verifica, di individuazione dei casi ora siamo più forti. Magari poi si crea agitazione, perché ormai ad esempio circolano notizie di cittadini cinesi che si sentono male e vanno in pronto soccorso, generando un vespaio, e poi magari si scopre che hanno l'influenza. Del resto in Cina ce l'hanno come da noi, che stiamo subendo la fase di picco. L'attenzione in più però la vedo come un aspetto positivo, ci sta; ogni volta si crea un patema sul “cosa sarà”. Però è quello che si deve fare.
Si aspettava un'evoluzione di questo genere?
Sono evoluzioni che sono imperscrutabili perché noi la natura la inseguiamo. Dobbiamo in qualche modo vedere anche come il virus è mutevole. E se si adatta meglio all'ospite, in questo caso a noi, il rischio è che appunto si faciliti la sua diffusione.
Quanto è pericoloso il nuovo coronavirus
Secondo alcuni studiosi di Hong Kong nella sola città di Wuhan i contagiati potrebbero essere persino decine di migliaia, quando al momento l'ultimo bollettino ufficiale parla di poco meno di 5mila contagiati e 107 decessi. Cosa pensa di queste cifre?
In ogni epidemia i casi accertati seguono una classificazione che si basa sul fatto che le persone si sono fatte visitare e vedere, quindi è naturale che una certa quota manchi all'appello. Se questa malattia facesse diventare verdi le persone, per esempio, avremmo un conteggio certo. Quindi per una “influenzona” come questa, una quota di casi è sicuramente sfuggita alle maglie dei controlli. È naturale. Ci sta che ci sia una sottostima, non intesa come capacità, ma come casi accertati che sono una parte di quelli generali.
A memoria non ricordiamo iniziative così drastiche per fronteggiare SARS e MERS: intere città isolate, grandi aziende, scuole e università chiuse, cittadini stranieri evacuati e costruzione di ospedali in tempi record. Quanto è realmente pericoloso secondo lei questo virus?
Quando ci fu la SARS costruirono ospedali da campo molto velocemente, non sono ospedali prefabbricati enormi. Ma misure di queste dimensioni non erano mai state prese fino ad oggi, è la prima volta al mondo. Ma è necessario farlo. Come dicevo, bisogna eccedere nella precauzione perché è come con gli incendi. Se li becchi subito li fermi, se succede come in Australia, si è visto quali sono stati i risultati.
Per alcuni infettivologi il virus potrebbe essere diventato “incontrollabile”. Altri pensano che possa stabilizzarsi come i virus dell'influenza e presentarsi stagione dopo stagione. Cosa ne pensa?
È possibile, è possibile. Quando noi facciamo proiezioni teniamo conto dello scenario peggiore e di quello migliore, quindi i due scenari sono potenzialmente possibili. Bisogna organizzarsi per quello peggiore, ma ritengo che non sia quello più probabile. Poi magari il mio ottimismo…In genere in questi casi va bene la Cassandra, che enfatizza, io alla luce dell'esperienza che ho vissuto nel '95, nel 2003 con la SARS e con altre epidemie dico che dei morti ci saranno, dei casi in Italia ci saranno. Ma il “film” è ancora tutto in divenire, nella sua evoluzione. Siamo agli inizi della pellicola, per così dire, e questa realtà sembra davvero far parte della filmografia di genere. Io spero, non dico in un “happy end”, o in un “abbiamo scherzato”, però in una cosa aggredibile. Questo voglio dire.
E le tempistiche, secondo lei?
Nell'arco di sei, otto mesi.
Il tasso di mortalità rispetto a quello di SARS, MERS e a quello dell'influenza come le sembra, con i dati attuali?
Siamo lì vicino. La letalità è un po' di più rispetto all'influenza, siamo lì per la SARS, mentre la MERS era più aggressiva.
Origine del coronavirus
Il cosiddetto serbatoio non è stato ancora identificato; studiosi cinesi avevano parlato di serpenti ma altri hanno bocciato questa teoria, sottolineando che serve un mammifero o un uccello per quel tipo di coronavirus. Pare che il primo paziente non sia nemmeno legato al famigerato mercato di animali vivi di Wuhan. In rete circola anche la notizia che il virus possa essere “uscito” da qualche esperimento di laboratorio. Cosa ne pensa?
Sì, non si è ancora capito quale sia il serbatoio. Lì a Wuhan c'è un bellissimo e famoso laboratorio Bls4 (il livello di biosicurezza massimo NDR), ma no, non credo che il virus possa essere sfuggito al loro controllo. Non ci credo.
Possibili cura e vaccino per il coronavirus
Una cura al momento non esiste, ma pare che farmaci antiretrovirali contro l'HIV abbiano fatto guarire un paziente. Sarebbero così promettenti da spingere la National Health Commission cinese a renderli un “trattamento raccomandato”. Cosa ne pensa?
Diciamo che in casi come questo si fanno delle prove. Se la malattia è grave si fanno i cosiddetti “off-label” (l'uso di farmaci al di fuori delle condizioni autorizzate NDR), come diciamo, cioè tentativi per verificare se questi farmaci possano funzionare. Quindi sì, potrebbero funzionare.
Nella nostra precedente intervista ci disse che per un vaccino ci può volere molto tempo, anche anni; alcuni suoi colleghi molto ottimisti parlano di un mese, o addirittura di una settimana alla luce delle conoscenze attuali. Quando pensa ne vedremo uno?
Una settimana o un mese possono bastare per trovare lo stipite virale da utilizzare, quindi il prototipo. Poi bisogna fare delle prove di sicurezza, perché non puoi “sparare” a milioni di persone un vaccino che non hai controllato. Una settimana è quindi la capacità tecnica di individuare il virus e cominciare a provarlo. Poi c'è l'industrializzazione, ci sono le prove di sicurezza, percorsi burocratici e così via. Per un vaccino normale si impiegano 6 o 8 anni. È chiaro che qui ci sarebbe un fast track perché sussiste l'utilità. Per ebola c'è stata una velocizzazione perché la malattia è mortale e tu dici “ci provo”, e così lo usi, ma per una “influenzona” pesante è un discorso diverso, non ci puoi stare dentro rispetto ai possibili effetti collaterali.