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Covid 19

Coronavirus, cos’è l’immunità di gregge

Grazie all’immunità di gregge (o di comunità) è possibile proteggere quella piccola percentuale di persone che non può essere vaccinata per varie ragioni, ad esempio perché malata. Si tratta di un sistema di protezione che si basa sullo spezzare la catena dei contagi di una malattia infettiva, legato al numero delle persone immuni. Il Regno Unito vorrebbe sfruttare l’immunità di gregge per contrastare il coronavirus, ma per molti è una follia. Vediamo perché.
A cura di Andrea Centini
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“Essere circondati da individui vaccinati è determinante per arrestare la diffusione di una malattia infettiva”, come scrive la Fondazione Veronesi sul suo portale, ed è su questo principio che si basa la cosiddetta “immunità di gregge” (herd immunity), conosciuta anche come immunità di gruppo o comunità. In parole semplici, si tratta di una forma di protezione indiretta per i soggetti non vaccinati, determinata da quelli vaccinati o immuni poiché già guariti dall'infezione, e che sono dunque in grado di “spezzare” la catena dei contagi frapponendosi tra patogeno e persone suscettibili alla malattia. La strategia britannica per contrastare la diffusione del coronavirus sul suolo nazionale, come dichiarato da sir Patrick Vallance, consigliere scientifico capo del governo, si baserebbe proprio sull'immunità della popolazione. In pratica, si lascerebbe circolare più o meno “indisturbato” il SARS-CoV-2 tra i cittadini, affinché il 60 percento di essi venga contagiato. In questo modo il restante 40 percento sarebbe "protetto" proprio per il principio dell'immunità di gregge.

Cos'è l'immunità di gregge

Per immunità di gregge, scrive la Fondazione Veronesi, “si intende quel fenomeno per cui, una volta raggiunto un livello di copertura vaccinale (per una determinata infezione) considerato sufficiente all’interno della popolazione, si possono considerare al sicuro anche le persone non vaccinate”. Come specificato poc'anzi, è un modo per proteggere persone che ad esempio non possono vaccinarsi, ad esempio pazienti immunodepressi o immunocompromessi affetti da specifiche patologie. Per ottenere questo risultato una larga parte della popolazione deve risultare immune, e infatti per le malattie dalla grande diffusione – come il morbillo – l'immunità di gregge si ottiene con circa il 95 percento delle persone vaccinate, come specificato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Per la parotite l'immunità di gregge si raggiunge fra il 75 e l'86 percento; per la pertosse tra il 92 e il 94 percento; per la difterite e la rosolia tra l'83 e l'86 percento; per la poliomielite tra l'80 e l'86 percento e così via. Questa percentuale si chiama soglia minima di efficacia ed è variabile da patogeno a patogeno. Il valore si ottiene sulla base di equazioni matematiche nelle quali entra in gioco il fattore R0, il tasso netto di riproduzione, ovvero il numero medio di persone che un contagiato può infettare. Per quanto concerne il coronavirus, il fattore R0 è al momento stimato attorno a 2,5, come dichiarato a fanpage dal virologo Fabrizio Pregliasco dell'Università degli Studi di Milano. Secondo alcuni esperti, spiega su Facebook l'epidemiologo Pier Luigi Lopalco, "il virus si fermerà quando il 60% della popolazione avrà sviluppato anticorpi contro la malattia", ed è per questo che sir Patrick Vallance ha citato questa percentuale per il raggiungimento dell'immunità di gregge.

La strategia britannica

L'immunità di gregge è stata utilizzata negli anni '70 del secolo scorso per eradicare (numero di infezioni pari a zero) il vaiolo. Questa tecnica, come hanno sottolineato vari esperti commentando la strategia britannica per affrontare il coronavirus, avrebbe senso solo quando c'è un vaccino a disposizione, e come ben sappiamo ci vorranno ancora molti mesi (almeno un anno e mezzo, secondo l'OMS) per vederne uno contro la COVID-19. Per questo l'idea di far circolare quasi liberamente il virus nel Regno Unito, adottando misure molto più morbide rispetto ai lockdown visti in Italia, Cina, Spagna e altri Paesi europei, è considerata una “follia” e una “assurdità”. Per il virologo Burioni non ha senso perché oltre a non esserci un vaccino non è ancora chiaro se una volta presa la malattia sia garantita l'immunità (sono noti possibili casi di recidiva, come quello di una paziente giapponese, benché non si escluda un andamento bifasico o ondulante dell'infezione). L'immunologo Mantovani, intervistato dal Corriere, ha sottolineato che non ritiene “sia pensabile costruire l’immunità della comunità lasciando correre il virus”, aggiungendo che "è da incoscienti".

I numeri sembrano dare pienamente ragione a chi considera questa soluzione una scelleratezza. In base ai calcoli basati sull'R0 del coronavirus, tenendo presente un tasso di mortalità del 2,3 percento (ancora non ben definito) e un tasso di malattia grave con necessità di terapia intensiva o subintensiva del 19 percento, circa 47 milioni di britannici dovrebbero ammalarsi di coronavirus per ottenere l'immunità di gregge, con 8 milioni di ricoverati e centinaia di migliaia di migliaia di morti. Numeri insostenibili non solo dal punto di vista sociale, ma anche per il fatto che metterebbero in ginocchio il sistema sanitario nazionale, come del resto suggerito dal documento “segreto” visionato dal Guardian, in base al quale ci si attende dai 300mila ai 500mila morti nell'arco dei prossimi 12 mesi, nello scenario peggiore. Il concetto è suffragato dal pensiero del dottor Pier Luigi Lopalco, secondo il quale l'immunità di gregge sembra "un concetto adattabile alla epidemia di COVID-19", "peccato che in questo 60% di pazienti colpiti, metà se ne andrà in ospedale e molti di questi in rianimazione per più di due settimane", ha aggiunto lo specialista, riferendosi alla percentuale citata da sir Patrick Vallance.

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