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L’infezione da coronavirus ha un andamento bifasico? Cosa significa e cosa dice l’esperto

Secondo alcuni ricercatori e medici la COVID-19, l’infezione causata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2 emerso in Cina, potrebbe avere un andamento “bifasico”, cioè divisa in due specifiche fasi a una trentina di giorni l’una dall’altra. Abbiamo chiesto al virologo Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano cosa ne pensa. Ecco le sue risposte.
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A cura di Andrea Centini
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Col passare del tempo gli scienziati conoscono sempre meglio e più a fondo il profilo dell'attuale “nemico pubblico numero 1”, il coronavirus SARS-Cov-2 responsabile dell'infezione COVID-19, ciò nonostante vi sono molte caratteristiche del patogeno ancora al vaglio degli esperti; dal tempo di sopravvivenza sulle superfici alla rilevanza della trasmissione asintomatica nel computo totale della diffusione, passando per l'individuazione dell'animale "serbatoio" che ha permesso il salto di specie del coronavirus. Si sa solo che inizialmente circolava nei pipistrelli, esattamente come i betacoronavirus della SARS e della MERS (il primo passato all'uomo dallo zibetto, il secondo dal dromedario).

Uno dei fattori che sta suscitando l'interesse della comunità scientifica è il possibile andamento dell'infezione, che alcuni medici e ricercatori non escludono possa essere di tipo “bifasico”. In parole semplici, un andamento bifasico prevede un'evoluzione della malattia in due fasi, come avviene con l'antrace o carbonchio: la prima fase di questa infezione è caratterizzata da sintomi aspecifici assimilabili a quelli di un'influenza (tosse, malessere generalizzato, febbre), seguita pochi giorni dopo da crisi respiratorie e sepsi con possibile perdita di coscienza, che determinano una letalità del 20 percento. Come specificato alla Reuters dal professor Philip Tierno, docente di Microbiologia e Patologia presso l'autorevole Scuola di Medicina dell'Università di New York (NYU), l'infezione di coronavirus “potrebbe rimanere inattiva e con sintomi minimi, e quindi sviluppare un'esacerbazione se si fa strada nei polmoni”. “Non sono sicuro che questo (virus) non sia bifasico, come l'antrace”, ha sottolineato lo specialista all'agenzia di stampa britannica. Il riferimento specifico è al caso di una paziente giapponese di 40 anni, risultata positiva al coronavirus una prima volta, data per guarita (negativa) pochi giorni dopo, e tornata ad essere positiva una ventina di giorni più tardi con sintomi più seri.

Il possibile andamento bifasico del coronvirus potrebbe essere suggerito anche dai casi di alcuni pazienti trattati nel nostro Paese. Come affermato da un medico, grazie all'anamnesi è stato determinato che alcuni di essi, prima di essere ricoverati per insufficienza respiratoria da COVID-19, avevano sperimentato uno stato febbrile e altri sintomi influenzali una trentina di giorni prima. Si fa riferimento soprattutto a un nucleo famigliare, dove 5 delle persone coinvolte avevano tutte accusato tosse secca, febbre, mal di gola, dolori muscolari (mialgia), malessere generalizzato e altre condizioni associabili al coronavirus, circa 30/40 giorni prima di sperimentare altri sintomi, in alcuni casi più gravi. Non per tutti è stato fatto il tampone che ne ha dimostrato la positività al coronavirus. Per comprendere meglio se sia possibile un andamento bifasico della COVID-19 abbiamo contattato il professor Fabrizio Pregliasco, virologo del Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano, Vice Presidente Nazionale dell’A.N.P.A.S. (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) e Direttore Sanitario della Casa di Cura Ambrosiana SRL di Cesano Boscone. Ecco cosa ci ha detto.

Professor Pregliasco, lei pensa che l'infezione da coronavirus possa avere un andamento bifasico?

Più che bifasico direi un andamento ondulante, una situazione che sembra andare a risolversi e poi risale. Sono manifestazioni variegate, ci può stare.

Quindi ritiene verosimile la storia della paziente giapponese?

Può darsi che la negatività sia non tanto un falso negativo ma una negatività temporanea, con una situazione di riduzione della carica virale che in qualche modo è poi risalita. È un andamento ondulante, con una possibile riduzione della replicazione virale ma in corso di malattia.

Cosa pensa dei casi di pazienti che hanno sperimentato sintomi influenzali negli ultimi giorni di gennaio e che poi sono diagnosticati con COVID-19 circa un mese dopo?

In quel periodo periodo poteva essere prima influenza che poi ha facilitato l'infezione da coronavirus, abbassando le difese immunitarie a seguito della prima infezione. Quindi è tutto da verificare.

In alcuni casi il tampone per l'influenza sembra essere risultato negativo. Si fa anche questo?

In qualche caso si fa il tampone per l'influenza, ma anche lì con una variabilità nel valore diagnostico.

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