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Coronavirus, com’è cambiata la mappa del contagio in sole cinque settimane

In poco più di un mese la “mappa del contagio” realizzata dall’Università Johns Hopkins per monitorare la diffusione del nuovo coronavirus emerso in Cina (SARS-CoV-2) è stata letteralmente stravolta, a causa della penetrazione del virus in decine di Paesi. Tra i più colpiti c’è proprio l’Italia, al terzo posto per numero di contagi e al secondo per quello dei decessi, nel momento in cui stiamo scrivendo.
A cura di Andrea Centini
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Uno degli strumenti più efficaci per visualizzare la diffusione del nuovo coronavirus emerso in Cina (SARS-CoV-2) è la “mappa del contagio” messa a punto dai ricercatori del Center for Systems Science and Engineering (CSSE), un laboratorio che fa capo al Dipartimento di Ingegneria Civile e dei Sistemi presso la prestigiosa Università Johns Hopkins di Baltimora, nel Maryland (Stati Uniti). Più che una semplice mappa si tratta di una dashboard online ricchissima di informazioni, costantemente aggiornata con i dati sui contagi raccolti dalle principali organizzazioni sanitarie internazionali e nazionali. Fra esse vi sono l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS); i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Centers for Disease Control and Prevention – CDC) americani; l'European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC); i CDC cinesi e altri enti asiatici meno conosciuti (come NHC e DXY) che forniscono alcuni dei dati in tempo quasi reale.

La prima versione della mappa fu messa online negli ultimi giorni di gennaio, e da allora è stata letteralmente stravolta. Non solo dall'aggiunta di nuove e preziose finestre, che mostrano ad esempio grafici aggiuntivi sull'andamento della diffusione della COVID-19 (l'infezione scaturita dal patogeno), ma anche dalla penetrazione del virus in decine di Paesi nel giro di pochissime settimane. Quando venne rilasciata si contavano circa 3mila casi di contagio in Cina e poche decine di vittime nella provincia di Hubei. Si registravano anche i primi 8 casi di Hong Kong e casi singoli in Canada e Nepal, dovuti a viaggiatori cinesi provenienti principalmente da Wuhan, la metropoli-epicentro dove il coronavirus ha compiuto il salto di specie da animale a uomo (tra il 20 e il 25 novembre 2019, secondo uno studio italiano) e dalla quale si è diffuso nel resto del mondo. Nel momento in cui stiamo scrivendo, lo scenario risulta completamente cambiato: i contagi in tutto il mondo hanno superato quota 93mila, mentre le vittime sono 3.200. Fa impressione l'evoluzione del nostro Paese, dove dai primi due casi registrati a Roma (la coppia cinese ricoverata allo Spallanzani oggi guarita) e rimasti “isolati” per diverso tempo, si è passati alla nascita di due focolai epidemici in Lombardia e Veneto (non collegati con i due turisti asiatici). Oggi siamo il terzo Paese al mondo per numero di contagi – oltre 2.500 – dopo gli 80mila della Cina e i 5.300 della Corea del Sud (larga parte legati a una setta religiosa). Siamo invece al secondo posto per numero di morti, 79, dopo le migliaia di vittime cinesi e subito avanti alle 77 dell'Iran, dove i contagiati sono 2.300.

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Si iniziano a registrare numerosi casi di contagio anche in altri Paesi, oltre 50 quelli coinvolti. Se ne registrano 212 in Francia; 203 in Germania; 165 della Spagna; 127 degli Stati Uniti e via discorrendo, fino ai casi singoli nel Principato di Monaco, nel Liechtenstein e nello Sri Lanka. La diffusione del SARS-CoV-2 ha trasformato una mappa per lo più grigia in un proliferare di pallini rossi più o meno grandi, che in base alle dimensioni indicano dai singoli casi fino ai focolai epidemici più importanti (come quello della provincia dello Hubei). Non è un caso che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) abbia recentemente cambiato lo stato di rischio di pandemia da coronavirus a “molto alto”.

La speranza che le misure draconiane adottate per contenere il più possibile la diffusione del patogeno, come l'isolamento di grandi città in Cina e i comuni della “zona rossa” in Italia, possano rallentarla e permettere ai sistemi sanitari di assistere tutte le persone che hanno bisogno di supporto. In Italia il 10 percento dei pazienti ha bisogno di essere trattato in terapia intensiva, e gli ospedali maggiormente sotto pressione (come quelli lombardi) potrebbero avere delle difficoltà qualora i numeri delle persone infettate continuassero a salire velocemente.

Inevitabile l'arrivo del coronavirus in Italia

Come dichiarato a fanpage dalla virologa Ilaria Capua, alcuni sono stati troppo ottimisti nel pensare che l'Italia non sarebbe stata coinvolta da focolai epidemici di SARS-CoV-2. “Abbiamo creduto che la Cina, con le misure draconiane che ha messo in atto, potesse tenersi tutto il contagio”. Adesso che il virus ha iniziato a diffondersi “dobbiamo fare il più grosso sforzo di responsabilità collettiva della nostra Storia” per provare a limitarne la diffusione al di fuori dei due focolai epidemici individuati, quelli in Lombardia e Veneto. La speranza è che con l'arrivo della bella stagione la diffusione del virus possa avere una brusca frenata, come avviene con quelli del raffreddore e dell'influenza.

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