Contro la variante Delta potrebbe servire un richiamo per il vaccino monodose di Johnson & Johnson
Tra i quattro vaccini anti Covid approvati per l'uso di emergenza dall'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) soltanto uno è monodose, l'Ad26.COV2.S o JNJ-78436735 di Johnson & Johnson, sviluppato in collaborazione tra gli scienziati di Janssen Pharmaceutica e Beth Israel Deaconess Medical Center. Il vaccino, a vettore adenovirale come il Vaxzevria di AstraZeneca, sebbene sia raccomandato solo per gli over 60 – in virtù dell'associazione con potenziali eventi tromboembolici – è stato scelto anche da molti giovani, proprio grazie alla sua caratteristica di basarsi su una singola dose. Come sta emergendo da diverse indagini, tuttavia, una sola dose di vaccino sembra non essere sufficientemente protettiva contro la variante Delta (ex seconda indiana B.1.617.2), che inizia a prendere il sopravvento in diverse parti del mondo. Pertanto alcuni studiosi stanno iniziando a consigliare un richiamo anche per il vaccino di Johnson & Johnson, a maggior ragione se si tiene conto di un'efficacia già inferiore rispetto a quella dei due vaccini a mRNA di Pfizer e Moderna.
Durante la sperimentazione clinica, infatti, per il JNJ-78436735 è stata determinata un'efficacia del 66 percento contro la COVID-19 sintomatica, mentre per i vaccini di Pfizer e Moderna si attesta attorno al 95 percento. Sebbene confrontare l'immunizzazione di vaccini che si basano su tecnologie differenti non sia opportuno, va comunque tenuto presente che il Johnson & Johnson è stato testato quando già circolavano varianti caratterizzate da mutazioni di fuga immunitaria, come ad esempio la Beta (ex sudafricana), mentre i vaccini a mRNA sono stati sperimentati quando dominava il ceppo originale del coronavirus SARS-CoV-2. Ciò significa che lo “scarto” tra le varie preparazioni potrebbe essere decisamente inferiore di quello che appare. Tuttavia, come indicato, una singola dose risulta essere poco protettiva contro la variante Delta, per questa ragione si sta pensando a un richiamo anche per il vaccino di Johnson & Johnson. Basti pensare che, in base ai dati recentemente pubblicati dalla Public Health England (PHE), una singola dose di AstraZeneca o Pfizer ha un'efficacia del 33,5 percento contro la variante Delta, che con la doppia dose sale rispettivamente al 59,8 e al 87,9 percento. Per questa ragione in diversi Paesi hanno deciso di avvicinare l'inoculazione delle seconde dosi, dopo gli slittamenti in avanti decisi per garantire la prima a quante più persone possibili.
Al momento non sappiamo quanto sia protettivo il Johnson & Johnson contro la variante Delta – la casa farmaceutica sta conducendo test di neutralizzazione in laboratorio per verificarlo – ma il dubbio di alcuni scienziati è che la sua efficacia possa risentirne, a causa delle peculiarità della variante, molto più trasmissibile (fino al 60 percento della variante Alfa, ex variante inglese); più aggressiva/virulenta e caratterizzata da mutazioni in grado di offrire una certa resistenza agli anticorpi. Non a caso alcuni esperti di malattie infettive che hanno ricevuto il Johnson & Johnson hanno richiesto un richiamo con lo Pfizer, abbracciando la vaccinazione eterologa che in Italia è già prevista per chi ha ricevuto la prima dose di AstraZeneca e ha meno di 60 anni. Fra essi vi è Jason Gallagher, esperto di malattie infettive presso la Scuola di Farmacia dell'Università Temple di Philadelphia; lo scienziato, come racconta la Reuters, aveva ricevuto il Johnson & Johnson a novembre 2020 durante un trial clinico e recentemente si è fatto inoculare una dose di Pfizer: “Mentre la situazione è migliorata molto negli Stati Uniti, la variante Delta che si sta diffondendo molto rapidamente anche negli Stati Uniti sembra un po' più preoccupante in termini di infezioni rivoluzionarie con i vaccini monodose. Così ho fatto il grande passo”, ha dichiarato lo scienziato all'agenzia di stampa. Lo stesso passo è stato compiuto dalla dottoressa Angela Rasmussen, ricercatrice presso l'Organizzazione per i vaccini e le malattie infettive dell'Università del Saskatchewan; in un post su Twitter ha dichiarato di aver ricevuto una dose di Pfizer in questi giorni dopo averne ricevuta una di Johnson & Johnson in aprile.
Come affermato dal dottor Andy Slavitt, ex consigliere per la pandemia del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, ci sono diversi esperti di malattie infettive che chiedono alle autorità regolatorie (CDC ed FDA, negli USA) di esprimersi al più presto sulla necessità di fare un richiamo per tutti coloro che hanno ricevuto la singola dose del Johnson & Johnson. “Non c'è dubbio che le persone che ricevono il vaccino J&J sono meno protette dalle malattie” di chi ha ricevuto le due dosi, ha dichiarato alla Reuters il professor Michael Lin, docente presso la prestigiosa Università di Stanford. Al momento i CDC non raccomandano i richiami e non ritengono che ci sia una riduzione nell'efficacia dei vaccini, nonostante i dati poco confortanti sulla singola dose emersi nel Regno Unito (dove la variante Delta è più diffusa), ma come indicato, secondo molti è necessario fare chiarezza. “Se vivi in una comunità con una vaccinazione generale bassa, ti suggerirei di prendere in considerazione la possibilità di farlo”, ha scritto la dottoressa Rasmussen, riferendosi alla vaccinazione eterologa dopo il vaccino di J&J. Anche il dottor Peter Hotez del Baylor College of Medicine ha sottolineato che un richiamo con una seconda dose di J&J o con uno dei vaccini mRNA “potrebbe fornire una protezione più ampia”, ma servono naturalmente linee guida da parte delle autorità regolatorie. Per prendere decisioni definitive servono ulteriori dati sulla diffusione e sulla pericolosità della variante Delta, ma non si esclude che nel futuro possano davvero essere previsti richiami anche per l'unico vaccino monodose attualmente disponibile.