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Covid 19

Con questi numeri il tracciamento contatti è ormai inutile: cosa avremmo potuto fare

La curva epidemiologica dell’emergenza coronavirus in Italia continua ad accelerare giorno dopo giorno, facendo registrare dati sempre più preoccupanti in termini di contagi, ricoveri e decessi, anche se siamo ancora lontani dalle criticità del primo picco pandemico. Tuttavia, con queste numeri il tracciamento dei contatti è ormai “inutile”, come spiega il microbiologo Andrea Crisanti. Ecco cosa avremmo potuto fare per evitare di finire in questa situazione così delicata.
A cura di Andrea Centini
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Il bollettino pubblicato il 14 ottobre dalla Protezione Civile sull'emergenza coronavirus in Italia riporta dati che indicano chiaramente l'entrata nella temuta “seconda ondata” di contagi. I nuovi positivi in 24 ore sono infatti stati ben 7.332, il numero più alto in assoluto da quando il SARS-CoV-2 si è diffuso nel nostro Paese; il record precedente, toccato il 21 marzo, fu infatti di circa 6.500 nuovi casi. C'è tuttavia una differenza sostanziale tra i due primati, e risiede nel numero di tamponi effettuati: a marzo furono poco più di 26mila, mentre tra il 13 e il 14 ottobre ne sono stati fatti ben 152.196. È il numero più alto mai registrato in Italia, figlio di un tracciamento dei contatti (o contact tracing) decisamente meglio organizzato ed rispetto ai primi mesi della pandemia. Ma è davvero efficace?

Benché individuare e isolare i soggetti a rischio entrati in contatto con un positivo sia fondamentale per arginare la diffusione del virus – e dunque ‘uccidere' sul nascere nuovi focolai -, con i numeri in crescita esponenziale che si stanno registrando in questi giorni, il tracciamento dei contatti è fondamentalmente una strategia inutile. A sottolinearlo è lo stesso fautore del “metodo Vo' Euganeo”, il microbiologo, medico, accademico e divulgatore scientifico Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia presso l'Università di Padova. Lo scienziato, in un'intervista a La Stampa, ha infatti sottolineato che adesso "è tardi per il contact tracing". "Con questi numeri – aggiunge Crisanti – bisogna diminuire i contatti personali e passare a chiusure via via più estese". L'esperto spiega che il virus "passerà inesorabilmente dai giovani agli anziani facendo salire i ricoveri. E purtroppo anche i decessi", sottolineando che di questo passo ci sarà "lockdown a Natale".

Questa previsione così pessimistica, come indicato, è legata ai numeri drammatici emersi negli ultimi giorni, che il professor Crisanti snocciola nel dettaglio specificando le conseguenze: “Per ogni nuovo contagiato è necessario identificare in media tra le 15 e le 20 persone con le quali è venuto a stretto contatto. Con oltre settemila nuovi casi di positività dovremmo rintracciare e mettere in isolamento domiciliare 140 mila persone. Invece leggo che nelle ultime 24 ore ne sono finite in quarantena appena 1.300. Vuol dire che il 95% di quelle persone potenzialmente infette circola liberamente per il Paese”. Questi numeri vengono definiti da Crisanti “la Caporetto della prima linea difensiva, il contact tracing”. In pratica, con la situazione attuale il tracciamento dei contatti è una vera e propria arma spuntata. “Ormai l'aumento dei casi non lo fermiamo più né con il contact tracing e nemmeno con quello che chiamiamo ‘network testing'”, ribadisce l'esperto a il Messaggero. A questo punto restano dunque la riduzione dei contatti interpersonali e in prospettiva la chiusura delle attività, a partire da quelle meno essenziali. “Altrimenti bisognerà girare quello che gli inglesi chiamano l'interruttore di trasmissione: ci fermiamo tutti per due, tre settimane”, ha aggiunto Crisanti.

In questa situazione così seria ci siamo finiti dopo aver trascorso un'estate relativamente tranquilla, caratterizzata da una curva epidemiologica piuttosto rassicurante, che purtroppo ha spinto in molti ad abbassare la guardia, pur essendo noto che con l'autunno il virus avrebbe potuto rialzare la testa. Il ‘sogno' della scomparsa del patogeno col caldo dei mesi estivi, del resto, si sta scontrando frontalmente con le seconde ondate che stanno colpendo duramente soprattutto altri Paesi, come Gran Bretagna e Francia. In Italia, fortunatamente, grazie alle misure più restrittive introdotte nei mesi scorsi, siamo riusciti a contenere meglio la risalita dei contagi, ma come spiegato dal professor Pier Luigi Lopalco a fanpage, “le dinamiche di diffusione del virus sono fondamentalmente uguali in tutte le popolazioni”. Dunque ci vuole pochissimo per trovarsi nella medesima, drammatica situazione degli altri.

Il tracciamento dei contatti nei tempi e nei modi giusti, di concerto col rispetto delle misure anti contagio da parte di tutti (distanziamento fisico, mascherine, igiene delle mani), avrebbe potuto evitare che finissimo in questa situazione così delicata, con un possibile lockdown ancora lontano ma che comincia minacciosamente a far capolino sull'orizzonte. Crisanti spiega al Messagero che “Mancano le persone, le competenze e la possibilità di fare i tamponi per portare avanti la sorveglianza attiva. E questa non era una cosa da fare a livello regionale, serviva un piano nazionale”. In pratica, ci si è mossi poco e male quando ce n'era l'opportunità, secondo l'esperto, e i numeri di oggi ne sono il risultato. Il microbiologo ha aggiunto che con un investimento di 40 milioni di euro si possono acquistare macchinari avanzati in grado di processare più tamponi, in un tempo minore e con l'utilizzo di meno reagenti (la disponibilità sufficiente di questi preziosi composti chimici rappresenta una delle preoccupazioni per le autorità sanitarie). “Il costo a regime sarebbe di due milioni al giorno. Con il modo che abbiamo oggi di eseguire i test stiamo spendendo di più”, ha chiosato lo scienziato. Per quanto concerne il piano nazionale, Crisanti ha ribadito che avremmo dovuto investire in modo massiccio per aumentare il numero di tamponi, e non per quelli rapidi che hanno dei limiti di sensibilità, ma sui “tradizionali tamponi molecolari”.

C'è anche un'altra cosa che tutti noi avremmo potuto fare per proteggerci meglio dalla seconda ondata: scaricare l'App Immuni. Secondo lo studio “Effective Configurations of a Digital Contact Tracing App: A report to NHSX” condotto da scienziati britannici di vari istituti, tra i quali il Dipartimento di Medicina “Nuffield” dell'Università di Oxford e il Wellcome Trust Centre for Ethics and the Humanities, affinché un'applicazione del genere sia efficace nel tracciamento dei contatti dovrebbe scaricarla (e usarla in modo corretto) almeno il 60 percento della popolazione italiana, quindi circa 36 milioni di persone. Al 14 ottobre è stata installata su 8,6 milioni di smartphone, con un boom registrato proprio negli ultimi giorni. Ciò significa che quando avrebbe potuto aiutare le autorità sanitarie a favorire il tracciamento dei contatti, era presente su troppi pochi telefoni, e lo è tuttora. La speranza è che con le nuove misure introdotte con l'ultimo Dpcm firmato dal premier Giuseppe Conte si possa ottenere un appiattimento della curva epidemiologica in rapida ascesa; ma il tempo a disposizione è poco e solo con il buon senso e la collaborazione di tutti si riusciranno a ottenere i risultati che tutti desideriamo. Altrimenti andremo incontro a un aumento drammatico di ricoveri e decessi, oltre che a nuovo, possibile lockdown.

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