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Covid 19

Come riaprire la scuola in sicurezza durante la pandemia: le tre strategie di Science

La riapertura delle scuole è considerata uno dei banchi di prova più impegnativi durante la pandemia di coronavirus, a causa del rischio concreto che possano diffondersi nuovi e pericolosi focolai. Per ridurre al minimo questa eventualità, tre scienziati dell’Università della Pennsylvania hanno proposto tre strategie “anti trasmissione” in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Science. Eccole nel dettaglio.
A cura di Andrea Centini
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Benché alcuni istituti hanno già aperto i battenti, la riapertura ufficiale delle scuole in Italia avverrà lunedì 14 settembre, e si tratterà di un altro, fondamentale passo verso la riconquista della “normalità” nel cuore della pandemia di coronavirus SARS-CoV-2. Le scuole e le università, del resto, sono state tra le primissime istituzioni a essere bloccate per spezzare la catena dei contagi, prima dei lockdown veri e propri, e adesso figurano tra le ultime a riaprire, dopo mesi di didattica a distanza, polemiche, aspri scontri politici e scetticismo espresso da molti esperti sulle misure di sicurezza da adottare. Ma riportare i ragazzi a scuola è fondamentale, ed è dunque doveroso mettere in campo tutte le strategie affinché ciò si possa realizzare nel rispetto della salute di tutti, di chi a scuola studia e lavora, ma anche delle famiglie e dell'intera comunità.

Una “ricetta” per una scuola sicura a prova di coronavirus l'hanno proposta tre scienziati dell'autorevole Scuola di Medicina Perelman dell'Università della Pennsylvania di Philadelphia, i professori Ronan Lordan, Garret A. FitzGerald e Tilo Grosser del Dipartimento di Farmacologia dei Sistemi e Terapia Traslazionale. La strategia si basa su tre punti descritti nel dettaglio nell'articolo “Reopening schools during COVID-19” pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Science. Vediamoli qui di seguito.

Per prima cosa risulta fondamentale ridurre al minimo l'arrivo delle infezioni a scuola, che può catalizzare la diffusione della COVID-19 tra studenti, insegnanti, operatori scolastici e famiglie, dando vita a nuovi, pericolosi focolai. Ma impedire al virus di giungere negli istituti è una sfida assai ardua, poiché come specificato dai tre autori dell'articolo, l'infezione provocata dal patogeno è spesso asintomatica. “Circa il 15-50 percento dei bambini e il 10-30 percento degli adulti non noteranno sintomi mentre il loro sistema immunitario combatte l'infezione (portatori asintomatici) o durante il periodo di incubazione, da 1 a 3 giorni prima della comparsa dei sintomi (portatori presintomatici )”, scrivono Lordan e colleghi. Ciò significa che in molti arriveranno positivi a scuola senza saperlo. Secondo il professor Andrea Cristanti, sarà circa il 2-3 percento degli studenti a risultare positivo al virus, sulla base dei dati epidemiologici.

A complicare il tutto ci sarà anche la sovrapposizione tra coronavirus SARS-CoV-2, coronavirus del raffreddore e virus parainfluenzali e influenzali, tutti responsabili di condizioni respiratorie talvolta con sintomi sovrapponibili. “In linea di massima possiamo escludere Covid-19 se si ha la tosse grassa, oppure se si ha una congiuntivite di tipo catarrale, col classico occhio impastato: questi problemi sono solitamente di origine batterica”, ha specificato all'ANSA il professor Francesco Broccolo, microbiologo clinico presso l'Università di Milano-Bicocca. “Se è presente un rash cutaneo con macchioline è più probabile che si tratti di una malattia esantematica, mentre una gastroenterite senza febbre è poco probabile che sia Covid, anche se il bambino va comunque tenuto a casa”. I sintomi che più facilmente potrebbero essere confusi sono quelli del raffreddore, per questo secondo l'esperto a scuola dovrebbero essere disponibili test rapidi per chiunque dovesse sviluppare tali manifestazioni. Ma come indicato, una parte significativa delle infezioni può risultare totalmente asintomatica. Poiché gli attuali test diagnostici non sono in grado di identificare in modo affidabile le infezioni silenti, non sono rapidi ed economici, scrivono i tre ricercatori su Science, e poiché farli a milioni di ragazzi – oltre che a insegnnati e operatori – è improponibile, Lordan e colleghi sottolineano che andrebbe perseguita la didattica a distanza quando la diffusione delle infezioni è fuori controllo in una determinata comunità.

Qualora il virus dovesse arrivare a scuola, come già accaduto e come accadrà sicuramente anche nelle prossime settimane, per evitare che esso si propaghi tra i ragazzi è fondamentale attuare tutte le strategie del caso per ridurre il rischio di trasmissione. Pertanto i tre scienziati raccomandano l'uso delle mascherine; il distanziamento fisico (che in Italia sarà assicurato dai banchi monouso); la disinfezione delle superfici; la ventilazione dei locali e l'igiene delle mani. Poiché non è solo la distanza ma è anche la durata a favorire il contagio, a causa degli aerosol che permangono nell'aria, gli scienziati suggeriscono di limitare il tempo di occupazione delle aule e favorire il ricambio d'aria. Vanno anche evitate attività come il canto – in una chiesa un singolo superdiffusore ha contagiato 50 persone durante una sessione di prove di un coro – e lo sport, dato che l'espirazione eccessiva legata all'attività fisica e la vicinanza favorirebbero la trasmissione.

Come ultimo baluardo contro la nascita di focolai di origine scolastica, i tre scienziati dell'Università della Pennsylvania sottolineano che ciascun gruppo di studenti, ciascuna aula, deve essere una sorta di “isola” rispetto alle altre. Ingressi scaglionati, percorsi segnalati nei corridoi e obbligo di indossare la mascherina fino a quando non ci si siede sono solo alcune delle soluzioni che verranno adottate in Italia per limitare al massimo i contatti fra gli studenti che accederanno agli istituti. Se si rispetteranno queste regole, nel caso in cui dovessero essere identificati dei casi positivi non sarà necessario chiudere l'intero istituto, ma mettere in quarantena solo la classe interessata.

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