“C” come “Curabile”
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, sono circa 300 mila gli italiani malati di epatite C che non hanno nessuna consapevolezza di esserlo. Il virus HCV che causa l’epatite C spesso non si presenta con una sintomatologia evidente nemmeno durante la fase acuta, quindi non è facile da diagnosticare. Solo il 5-10% dei pazienti ne presenta i sintomi (come febbre, vomito, nausea, ittero, diarrea e affaticamento) dopo essere stato contagiato; la maggior parte, invece, affronta la patologia in modo asintomatico, sebbene il sistema immunitario si attivi per debellare il virus in un processo che può durare anche mesi. Il risultato è che solo il 60-80% riesce a vincere il virus. Se non debellato, questo si annida nel fegato danneggiando le cellule epatiche – le quali, morendo, vengono sostituite da tessuto cicatriziale, che può portare allo sviluppo di altre patologie.
Il virus silente
Perché se può essere vero che di epatite C non si muore, dei danni provocati alle cellule epatiche e delle conseguenze del tessuto cicatriziale – che può portare a fibrosi epatica e col tempo a cirrosi epatica con la perdita di tutte le funzionalità dell’organo (il 20% dei pazienti) – si può morire. Data la presenza silente dell’infezione per decenni, il 5% di chi ne soffre potrebbe arrivare anche a sviluppare tumori: il risultato è che sono circa 6000 i decessi avvenuti per complicazioni dovute a HCV. Di sicuro evitabili con la diagnosi precoce, che può avvenire semplicemente con un esame del sangue prescritto dal proprio medico di base. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito tra gli obiettivi comuni da raggiungere entro il 2030 la riduzione del 65% delle morti legate all’epatite C e del 90% dei nuovi contagi.
C come curabile, una campagna per tutti
A investire in questo obiettivo è nato C come curabile, campagna di sensibilizzazione digitale sull’epatite C, promossa da Gilead Sciences con il patrocinio della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), della Fondazione The Bridge, di EpaC Onlus, dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF), di Plus ONLUS e Fondazione Villa Maraini. L’obiettivo è informare sull’epatite C, su come si trasmette e su cosa si può fare per curarla. Il primo passo verso una diagnosi certa è il test diagnostico, che può essere richiesto al medico. Un semplice passo, il primo da fare per contribuire all’emergere del sommerso, obiettivo fondamentale per la lotta all’HCV.
Per evitare il sommerso: un test e un esame del sangue
Un semplice esame di controllo è consigliato a tutti; è necessario però che chi ha avuto comportamenti “a rischio” sia maggiormente sensibilizzato in proposito. L’epatite C, infatti, si trasmette per via ematica: ogni comportamento a rischio – come la condivisione di oggetti taglienti, quali lamette o rasoi, l’uso di aghi non sterili per fare tatuaggi e piercing, le trasfusioni di sangue e il consumo di droghe per endovena condividendo l’ago – aumenta l’esposizione. Si stima che nel “sommerso” vi siano circa 150.000 infezioni tra i tossicodipendenti e circa 80.000 tra chi si è sottoposto a trattamenti estetici prima del 2000, ai quali si aggiungono coloro che hanno contratto l’infezione durante un intervento chirurgico.
Verso la guarigione e la riduzione dei contagio
La buona notizia è che la patologia è oggi curabile per il 95% dei casi, con nuove terapie che ridurrebbero anche il rischio trasmissione del contagio. La campagna digitale ha l’obiettivo di raggiungere tutti. << Con C come curabile – spiega Cristina Le Grazie, Direttore Medico di Gilead Sciences – vogliamo proseguire nel nostro impegno contro l’epatite C anche durante questa pandemia. La lotta all’infezione e gli sforzi per raggiungere la sua eliminazione non possono arrestarsi ed è per questo che abbiamo scelto il canale digitale che in questo momento permette di raggiungere fasce più ampie della popolazione e di parlare loro di prevenzione e diagnosi. È solo però un primo passo cui ne seguiranno altri anche al di fuori dell’ambito digitale>>.