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Violenza sulle donne, un dramma spesso sottovalutato

Secondo i dati di uno studio AstraRicerche presentato in occasione della Giornata internazionale dedicata alla sensibilizzazione sulla violenza contro le donne, per troppi italiani (e italiane) dare uno schiaffo alla partner o costringerla a un rapporto sessuale non è violenza. Ecco perché serve un cambio di passo culturale, con interventi di sostegno alle realtà impegnate in prima linea.
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A cura di Ciaopeople Studios
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Centotre donne uccise nei primi dieci mesi dell’anno: una ogni tre giorni. E nei primi sei mesi del 2021, delle 19.128 vittime dei cosiddetti “reati-spia” (atti persecutori, maltrattamenti contro familiari e conviventi e violenze sessuali) il 79% era una donna. Dati preoccupanti – che si aggiungono a quelli “sommersi” e spesso non denunciati (né denunciabili, in molti casi), come le discriminazioni, le violenze psicologiche, le pressioni indebite, gli atteggiamenti ricattatori – e che testimoniano come quello della violenza di genere sia un fenomeno tutt’altro che marginale. Tratteggiano, anzi, una situazione che nel nostro Paese resta drammatica. Prima ancora che nei numeri, a livello culturale: perché spesso quello della violenza di genere è un fenomeno sottovalutato, dagli uomini ma anche dalle stesse donne.

Se infatti il tema della violenza sulle donne è, secondo gli italiani, talmente importante da meritare un posto di assoluto rilievo tra le priorità dell’agenda politica (oltre il 60% dei nostri concittadini ritiene una criticità da risolvere con urgenza la violenza fisica, e poco meno del 58% quella psicologica), questo pensiero si scontra poi con atteggiamenti diametralmente opposti, profondamente radicati a livello sociale, che portano a sottovalutare la gravità di certi comportamenti e la reale portata di determinati fenomeni.

Secondo uno studio realizzato da AstraRicerche presentato durante l’evento “Tutti i volti della violenza” promosso in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne dalla Rete Antiviolenza del Comune di Milano e Gilead Sciences Italia, ad esempio, sebbene il 5% delle donne tra 16 e 70 anni (cioè un milione e 157mila persone)  abbia subito uno stupro o un tentativo di violenza carnale, più del 40% degli italiani pensa che questo dato non superi il 3%.

Ma dai dati della ricerca emerge anche uno sconfortante problema culturale di fondo, diffuso non solo tra gli uomini ma anche tra le stesse donne, relativo al tema della violenza di genere. Un italiano su quattro, ad esempio, è convinto che ritenere che “un abuso fisico subito da una donna è meno grave perché gli atteggiamenti di lei, il suo abbigliamento o aspetto comunicavano che era ‘disponibile’” non sia essa stessa una forma di violenza. E se questo atteggiamento è più diffuso tra gli uomini (lo pensa il 30% del totale), anche tra le stesse donne è presente in misura sostanziale (il 20%).  Non va meglio con altri esempi: circa il 30% degli italiani (il 40% degli uomini e il 20% delle donne) ritiene che “dare uno schiaffo alla partner se lei ha flirtato con un altro” non sia violenza, e quattro uomini su dieci e tre donne su dieci ritengono che non sia violenza nemmeno “forzare la partner ad avere un rapporto sessuale anche se lei non ne ha voglia”.

Ecco perché secondo Diana De Marchi, presidente della Commissione pari opportunità e diritti civili e Rete antiviolenza del Comune di Milano, è necessario “un cambiamento culturale che ci faccia sentire tutti e tutte parte del problema”: perché “le donne non possono – e non devono – essere lasciate sole ad affrontare la violenza e i maltrattamenti”. Per questo proprio in Lombardia è stata costituita la Rete Antiviolenza che, coordinata dal Comune di Milano, da molti anni sostiene le donne che decidono di sottrarsi a situazioni di maltrattamento domestico e violenza di genere.

Un’assistenza psicologica, giuridica, professionale, abitativa ed economica fondamentale perché le vittime di violenza possano dire “basta” e ricominciare a vivere, e che ora può contare su un ulteriore contributo. Gilead Sciences, società biofarmaceutica californiana che da trent’anni sviluppa farmaci innovativi e che dal 2000 è presente a Milano con la sua sede italiana,  ha infatti avviato con la Rete Antiviolenza Milano una collaborazione che ha previsto l’erogazione di 20.000 euro per la realizzazione di iniziative a favore di donne vittime di violenza di genere: tirocini e borse di lavoro per percorsi e progetti di reinserimento lavorativo e riqualificazione professionale; servizi per la conciliazione famiglia-lavoro; progetti di autonomia abitativa; spese per la promozione della salute per donne vittime e figli minori coinvolti; spese legali per iter giuridici civili.

“La collaborazione – spiega Gemma Saccomanni, Direttore Public Affairs di Gilead Sciences Italia – fa parte dell’impegno per la tutela e la promozione dei valori della diversità e dell’inclusione che come azienda globale sosteniamo in tutte le comunità in cui operiamo.  Non ci fermiamo alla ricerca e allo sviluppo di farmaci innovativi, ma sosteniamo attivamente chi opera in favore di coloro che vivono condizioni di discriminazione, emarginazione o violenza”. E tra le fasce di popolazione più disagiate vi sono proprio le donne, a cui fenomeni come la violenza e la disparità di genere nei suoi vari aspetti, nell’ambiente domestico ma anche nel mondo del lavoro, “impediscono una piena e legittima partecipazione alla vita sociale ed economica del Paese”.

Non a caso, secondo i risultati dello studio di AstraRicerche, gli italiani suggeriscono, per combattere il fenomeno della violenza di genere, un approccio culturale, che parta dalla promozione della conoscenza e del rispetto delle donne nelle scuole, di ogni ordine e grado. Al secondo posto inseriscono l’intervento sul welfare pubblico: orari di lavoro, offerta di servizi, sussidi per l’acquisto di servizio di asilo nido, riconoscimento del lavoro domestico. A seguire, i percorsi di empowerment femminile per le vittime di violenza quali sostegno psicologico, attività sull’autostima e la consapevolezza, supporto al reinserimento lavorativo e, infine, una legge che renda obbligatorio un periodo di paternità di 2-3 mesi”.

Contenuto pubblicitario a cura di Ciaopeople Studios.
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