Bambini e giovani sono tra i principali “superdiffusori” di coronavirus, secondo questo studio

Il più grande e approfondito studio sul tracciamento dei contatti legato alla pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 ha dimostrato che i cosiddetti “superdiffusori”, cioè coloro che trasmettono l'infezione a un gran numero di persone, giocano un ruolo estremamente significativo nella diffusione della patologia. Inoltre, è stato determinato che bambini e giovani adulti sono tra i principali motori ad alimentare la catena dei contagi, perlomeno in India.
A dimostrare il ruolo cruciale dei superdiffusori nella pandemia di coronavirus è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Center for Disease Dynamics, Economics and Policy di Nuova Delhi (India) e della prestigiosa università statunitense di Princeton, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di Salute Pubblica Johns Hopkins Bloomberg, del Government Medical College di Kadapa, della Divisione di Epidemiologia dell'Università della California di Berkley e di altri istituti indiani e americani. Gli scienziati, coordinati dal dottor Ramanan Laxminarayan, ricercatore presso il Princeton Environmental Institute (PEI), sono giunti alle loro conclusioni dopo aver studiato l'evoluzione della pandemia in due popolosi Stati indiani: il Tamil Nadu e l'Andhra Pradesh.
Laxminarayan e colleghi hanno analizzato infezioni e tasso di mortalità in oltre 575mila persone esposte a poco meno di 85mila soggetti con diagnosi di COVID-19, mettendo a punto un complesso e approfondito studio statistico sul tracciamento dei contatti. Come indicato, è emerso che è stata una piccola percentuale di persone a catalizzare la diffusione del virus, cioè i superdiffusori. I ricercatori hanno scoperto che il 71 percento dei positivi non aveva infettato nessuno tra i propri contatti, mentre un numero contenuto (8 percento) è stato responsabile del 60 percento dei casi complessivi. “Gli eventi di super diffusione sono la regola piuttosto che l'eccezione quando si guarda alla diffusione del COVID-19, sia in India che probabilmente in tutti i luoghi colpiti”, ha dichiarato il dottor Laxminarayan in un comunicato stampa.
Più nello specifico, è stato dimostrato che le probabilità di trasmettere il virus a un contatto stretto variava dal 9 percento se si trattava di un familiare al 2,6 percento se la persona veniva incontrata nella comunità. Bambini e giovani adulti, come indicato, erano tra i principali diffusori dei contagi. “I bambini sono trasmettitori molto efficienti in questo ambiente, che è qualcosa che non è stato stabilito con sicurezza negli studi precedenti. Abbiamo scoperto che i casi segnalati e i decessi sono stati più concentrati in coorti più giovani di quelle attese, sulla base delle osservazioni condotte nei Paesi a reddito più elevato”, ha aggiunto l'autore principale dello studio.
Tra gli altri dati rilevati, il fatto che i contatti tra coetanei rappresentavano il maggior rischio di infezione. La mortalità variava dallo 0,05 percento nella fascia di età tra i 5 i 17 anni e il 16,6 percento che i pazienti con età uguale o superiore agli 85 anni. Va tenuto presente che lo studio è stato condotto in un contesto specifico e i dati potrebbero variare molto in altre parti del mondo. In India, sulla base della mappa interattiva dell'Università Johns Hopkins, ad oggi sono stati registrati quasi 6,7 milioni di contagi e 103mila morti, che lo rendono il secondo Paese al mondo per contagi (dopo gli Stati Uniti che ne ha quasi 7,5 milioni) e il terzo per decessi, dopo USA (211mila vittime) e Brasile (147mila). I dettagli della ricerca “Epidemiology and transmission dynamics of COVID-19 in two Indian states” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Science.