Antibiotici negli alimenti: quali sono i rischi per la nostra salute
Gli antibiotici, come suggerisce l'etimologia greca della parola, sono sostanze in grado di uccidere, e proprio per questa loro caratteristica vengono utilizzati come farmaci per eliminare i microorganismi (batteri) responsabili delle malattie. Possono essere prescritti anche in via precauzionale/profilattica, ad esempio dopo un intervento chirurgico o quando si entra in contatto con una persona affetta da un patogeno pericoloso (come il meningococco), e ovviamente non vengono utilizzati solo in ambito clinico, cioè sull'uomo, ma anche in medicina veterinaria. Negli allevamenti di bovini, ad esempio, possono essere somministrati per trattare le frequenti mastiti (infezioni alla mammella) che colpiscono le mucche, oppure per debellare altre patologie di origine batterica.
Alla luce del loro ampio utilizzo, gli antibiotici – così come altri farmaci – arrivano inevitabilmente a “contaminare” la carne del bestiame e altri prodotti di origine animale come uova e latticini, col risultato che finiscono nella catena alimentare e dunque anche sulle nostre tavole. Le concentrazioni massime dei residui delle cosiddette “sostanze farmacologicamente attive” negli alimenti sono comunque rigidamente regolamentate sulla base di direttive comunitarie e nazionali; ciò, tuttavia, significa che una piccola parte di antibiotici finiamo spesso per ingerirla. Come ha dimostrato l'indagine de “Il Salvagente” che ha trovato tracce di tre farmaci (il cortisonico esametasone, l'antiinfiammatorio neloxicam e l'antibiotico amoxicillina) nel latte delle principali marche vendute nei supermercati. Benché si tratti sempre di concentrazioni nei limiti di legge, l'assunzione costante può avere degli effetti indesiderati da non sottovalutare. Vediamo quali.
Come specificato dal professor Ivan Gentile, docente di malattie infettive presso l'Università Federico II di Napoli, “Non si può escludere un rischio, sebbene basso, che l’esposizione anche di minime quantità, soprattutto in maniera ripetuta, possa avere ripercussioni sul microbiota intestinale, cioè su quell’insieme vario di microorganismi che vivono con noi (nell’intestino, sulla cute, nella cavità orale per fare qualche esempio) e che esercitano effetti benefici (a livello digestivo, immunitario, protettivo)”. In parole semplici, l'utilizzo continuativo di prodotti contenenti antibiotici (anche in quantità minime) potrebbe alterare la flora batterica intestinale con effetti potenziali sulla salute. Del resto sono numerose le ricerche scientifiche che recentemente hanno determinato uno stretto legame tra microbiota intestinale e patologie di varia natura, come ad esempio il morbo di Parkinson. Un altro rischio è per i soggetti allergici ai principi attivi degli antibiotici; seppur le quantità rilevate negli alimenti regolamentati siano talmente basse da non poter innescare eventi drammatici come uno shock anafilattico, è indubbio che reazioni immunitarie meno evidenti ma comunque non salutari potrebbero emergere. È per questa ragione che chi sa di essere allergico a determinati antibiotici dovrebbe prestare una certa attenzione ai prodotti di origine animale che consuma.
L'altro grande rischio legato agli antibiotici negli alimenti è la possibilità di favorire l'antibiotico resistenza, considerata una vera e propria emergenza per la salute pubblica. Basti sapere che in base alle stime dell’Associazione delle imprese del farmaco (Farmindustria), in Italia entro il 2050 si registreranno 450mila morti a causa dei “superbatteri”, cioè quelli capaci di resistere agli antibiotici. I superbatteri originano per selezione naturale, generazione dopo generazione, grazie alle mutazioni casuali nel profilo genetico che permettono loro di sopravvivere al farmaco. Se ad esempio dovessimo colpire una colonia di un milione di batteri con un antibiotico, potrebbe essercene uno 0,1 percento che sopravvive proprio grazie alla mutazione “resistente”. Riproducendosi, questo 0,1 percento darà vita a una nuova colonia che sarà totalmente resistente al farmaco.
Come specificato dal professor, Ruggiero Francavilla, pediatra e gastroenterologo dell’Università degli Studi di Bari, “L’assunzione costante di piccole dosi di antibiotico con gli alimenti determina una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale a vantaggio dei batteri resistenti agli antibiotici che diventano più rappresentati; questa informazione genetica viene trasferita ad altri batteri anche patogeni”. In altri termini, a forza di assumere piccole quantità di antibiotici potremmo “coltivare” nel nostro apparato digerente microorganismi che potrebbero non rispondere ai farmaci nel caso in cui dovessero produrre un'infezione. L'Escherichia coli, ad esempio, è un batterio importante che vive in simbiosi nel nostro intestino, ma è un patogeno opportunista che può causare infezioni potenzialmente letali; la sua peggior caratteristica è proprio quella di aver sviluppato resistenza a determinate classi di antibiotici. Infine, l'uso sconsiderato degli antibiotici sia negli allevamenti che da parte nostra può favorire la proliferazione di superbatteri nell'ambiente, e con essi il rischio di ammalarsi di infezioni difficilmente trattabili.