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Almeno 380 cetacei sono morti nel peggior spiaggiamento di massa nella storia dell’Australia

Lo spiaggiamento di massa verificatosi nell’area di Macquarie Heads, lungo la costa occidentale della Tasmania, è il peggior evento del genere documentato in Australia. Sono almeno 380 i globicefali morti, mentre i soccorritori stanno facendo il possibile per salvare la vita ad altri 30. In 50 sono stati rimessi in mare. Abbiamo chiesto un commento sul drammatico spiaggiamento alla biologa marina del Tethys Research Institute Maddalena Jahoda.
A cura di Andrea Centini
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Lo spiaggiamento di massa verificatosi tra il 21 e il 22 settembre in Tasmania, Stato insulare dell'Australia, è molto più grave di quel che si credesse. Durante una ricognizione aerea nell'area di Macquarie Heads, lungo la costa occidentale dell'isola, a circa 7-10 chilometri dal luogo del ritrovamento del primo gruppo di cetacei, sono state infatti individuate le carcasse di altri 200 esemplari; ciò porta il computo totale di quelli arenati a ben 470, mentre quelli deceduti al momento sono almeno 380. Si tratta del peggior spiaggiamento di massa mai registrato in Australia. Il precedente record nazionale si registrò nel 1996 in Australia Occidentale, quando si spiaggiarono 320 mammiferi marini. Per quanto concerne la Tasmania, il precedente primato risale al 1935 e vide coinvolti 294 animali, mentre l'ultimo in ordine cronologico è del 2009, con circa 200 cetacei arenati.

In tutti i casi sopracitati gli spiaggiamenti hanno coinvolto i globicefali (genere Globicephala), animali gregari ben noti agli scienziati proprio per questi eventi di massa, oltre a essere quelli massacrati più spesso durante le anacronistiche grindadrap (la caccia ‘tradizionale' ai cetacei) alle Isole Faroe. Esistono due specie di globicefalo, chiamato anche “balena pilota” pur trattandosi di un odontoceto (con i denti) della famiglia dei delfini: il globicefalo propriamente detto (Globicephala melas), che vive anche nel Mar Mediterraneo, e il globicefalo di Grey (Globicephala macrorhynchus). Lo spiaggiamento verificatosi in Tasmania ha coinvolto la prima delle due specie, che si differenzia dall'altra per avere le pinne pettorali più lunghe (oltre che per altri dettagli).

Come indicato, lo spiaggiamento di massa è stato uno dei peggiori della storia, come del resto dimostra il numero di cetacei morti comunicato dal dottor Nic Deka, il coordinatore del salvataggio e responsabile regionale del Tasmania Parks and Wildlife Service. I decessi sono saliti sensibilmente rispetto al 22 settembre, quando erano stati contati 90 globicefali morti, e c'era ancora la speranza di salvarne molti poiché una parte era ancora in acqua, e non direttamente sulla spiaggia. Al momento le decine di soccorritori del Marine Conservation Program impegnati nelle operazioni di salvataggio ne hanno rimessi in mare cinquanta, grazie al supporto di speciali imbragature e imbarcazioni, e lottano strenuamente per salvare la vita alla trentina di animali che risulta ancora in vita. Purtroppo due dei cetacei salvati martedì si sono spiaggiati nuovamente, come spesso accade in questi incidenti. Le operazioni sono complesse anche per la stazza degli esemplari più grandi, che possono superare gli 8 metri di lunghezza per 3 tonnellate di peso.

Tra gli esperti che stanno coordinando i soccorsi in Tasmania vi è il biologo Kris Carlyon, che alla CNN ha sottolineato che i cetacei potrebbero essersi avvicinati troppo alla costa dopo aver inseguito alcune prede, oppure l'intero gruppo potrebbe aver seguito un leader malato, ferito o disorientato. Ma ad oggi gli spiaggiamenti di massa restano un vero enigma per gli scienziati: come specificato dallo stesso studioso, dopo ogni evento gli esperti si chiedono cosa potrebbe averlo causato, in genere “senza ottenere una risposta”. Per provare a capirne di più abbiamo chiesto un commento alla biologa marina del Tethys Research Institute Maddalena Jahoda, esperta di cetacei e scrittrice. Ecco che cosa ci ha spiegato.

“Questi spiaggiamenti di massa sono uno dei più grossi misteri e anche una delle maggiori frustrazioni per chi studia e cerca di proteggere gli animali: un conto è un animale che si spiaggia perché è malato, o ferito, ma questi sono casi ben diversi: centinaia di animali apparentemente sani che non solo si arenano ma spesso, se riportati in mare, tendono paradossalmente a tornare indietro e a spiaggiarsi di nuovo. Ci sono delle costanti: spessissimo si tratta di globicefali, che appartengono alla famiglia dei delfini (anche se in inglese sono chiamati pilot whales): ce ne sono due specie simili, ed entrambe tendono a spiaggiarsi. Anche le località sembrano giocare un ruolo: ci sono posti che vedono questi fenomeni con una certa regolarità. Oltre alla spiaggia in questione, in Tasmania, altri “posti maledetti” sono per esempio Farewell Spit, in Nuova Zelanda, dove nel 2017 si spiaggiarono qualcosa come 600 animali (metà circa dei quali salvati), ma anche Cape Cod, sulla costa atlantica degli USA. E hanno tutti in comune che sono lingue di terra bassa che si protendono in mare. Diverse sono le ipotesi che sono state avanzate per spiegare il fenomeno: che certe coste sabbiose forse costituiscano una barriera inaspettata, in qualche modo non percepita dai biosonar degli animali. Oppure che il campo magnetico terrestre, con cui i cetacei si orientano, li tragga in inganno quando incrocia la terraferma in un determinato modo. Ma con ogni probabilità gioca un ruolo anche la spiccata socialità e coesione dei globicefali; se un individuo è in difficoltà è possibile che il branco tenda a seguirlo, soprattutto se si tratta di femmine anziane; i globicefali hanno infatti delle società matriarcali, come le orche”.

Nonostante il numero significativo di vite spezzate in Tasmania, nella vicina Nuova Zelanda si sono verificati spiaggiamenti ancora più drammatici. Il record storico risale al 1918, quando i globicefali spiaggiati furono oltre mille, mentre nel 2017, come specificato dalla dottoressa Jahoda, se ne sono arenati circa seicento nella splendida Golden Bay. Un video che racconta ciò che è accaduto in Nuova Zelanda è disponibile sulla pagina del progetto “Digital Whales” dell'Istituto Tethys e Verdeacqua. La speranza degli scienziati è che un giorno si riesca a risolvere il mistero degli spiaggiamenti di massa e magari a prevenirli, laddove possibile.

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