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Virus dell’epatite dei ratti fa il salto di specie all’uomo, ma dal 2018 solo 11 positivi

Dal 2018 ad oggi sono stati diagnosticati 11 casi di epatite E dei ratti nell’uomo, un patologia causata da un virus – Orthohepevirus C (HEV-C) – che fino a due anni fa si credeva circolasse solo nei roditori. Gli scienziati non sanno quale sia il metodo di trasmissione di questo patogeno e quanto tempo duri il periodo di incubazione della patologia, ma non c’è alcun rischio pandemico come per il SARS-CoV-2.
A cura di Andrea Centini
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Un virus dell'epatite E (HEV) dei ratti ha recentemente compiuto il salto di specie all'uomo, e gli scienziati non sanno né in che modo avvenga la trasmissione né quanto tempo duri il periodo di incubazione (il tempo che intercorre tra contagio e comparsa dei sintomi) del patogeno. Ad oggi risultano soltanto 11 persone infettate a Hong Kong, a partire dal 2018, tuttavia secondo i virologi che stanno studiando la situazione potrebbero esserci centinaia di casi non ancora diagnosticati. Tutto ciò che si sa al momento è che un virus presente soltanto nei roditori è stato trovato anche nell'uomo.

Il cosiddetto “paziente zero” dell'epatite E dei ratti, come riporta la CNN, è un uomo di 56 anni di Hong Kong che era stato sottoposto a un trapianto di fegato nel 2018. Durante un controllo medico ha mostrato i sintomi di una epatite in corso ed è stato testato anche per l'epatite E umana; dalle analisi è emerso che il suo sistema immunitario stava effettivamente provando a contrastare un virus dell'epatite E, ma i test non hanno rilevato l'unico ceppo che infetta normalmente l'uomo, la specie Orthohepevirus A (HEV-A). Del virus HEV esistono quattro diversi tipi che circolano tra gli animali, tra i quali soltanto quello sopraindicato interessa l'uomo. Approfondendo le indagini sul paziente, un team di ricerca del Carol Yu Centre for Infection dell'Università di Hong Kong e del Dipartimento di Microbiologia del Queen Mary Hospital ha scoperto che il paziente era stato infettato dall'Orthohepevirus C (HEV-C), un tipo che circola soltanto nei ratti e che risulta essere molto divergente dall'HEV-A. Per la prima volta era stato dunque rilevato un nuovo virus nell'uomo, capace anch'esso del cosiddetto “spillover”, il salto di specie da animale a uomo come quello compiuto dal coronavirus SARS-CoV-2, che sarebbe avvenuto nella seconda metà di novembre 2019, secondo uno studio condotto da scienziati italiani dell'Università Campus BioMedico di Roma.

Gli scienziati di Hong Kong guidati dal dottor Siddharth Sridhar all'inizio immaginavano che si trattasse di un caso isolato, ma nei due anni successivi hanno diagnosticato l'epatite E dei ratti in altri dieci pazienti. Come specificato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, il metodo di trasmissione principale del virus dell'epatite E tipico dell'uomo è attraverso l'acqua contaminata dalle feci di un roditore infetto, ma non è noto se questo valga anche per l'Orthohepevirus C (HEV-C) responsabile della nuova forma di epatite, che determina ittero, fegato ingrossato, febbre e altri sintomi.

A rendere ancor più enigmatica questa forma di epatite E dei ratti, le caratteristiche dell'ultimo caso diagnosticato. Si tratta di un sessantunenne non esposto a fattori di rischio acclarati: l'uomo non vive in un'area con alta densità di roditori; escrementi di topo non sono stati trovati nella sua casa; non è entrato in contatto con fonti di acqua potenzialmente contaminate e nell'ultimo periodo non ha effettuato viaggi. Di conseguenza Sridhar e colleghi non sanno come possa essere rimasto contagiato: “Improvvisamente, abbiamo un virus che può passare dai ratti agli umani. Ciò che sappiamo è che i ratti di Hong Kong sono portatori del virus, testiamo gli umani e troviamo il virus. Ma come salti esattamente tra loro – sia che i ratti contaminino il nostro cibo, sia che ci sia un altro animale coinvolto – non lo sappiamo. Questo è il collegamento mancante”, ha dichiarato Sridhar alla CNN. Il periodo di incubazione del patogeno potrebbe essere molto lungo, quindi non si esclude che l'uomo dell'ultimo caso possa essere stato contagiato molto tempo addietro.

Per il tipo di virus coinvolto, le modalità di trasmissione più probabili, il numero estremamente contenuto di pazienti risultati positivi in due anni e gli effetti della patologia, naturalmente, HEV-C non rappresenta un rischio pandemico, dunque non c'è alcun motivo per allarmarsi. I dettagli della ricerca "Rat Hepatitis E Virus as Cause of Persistent Hepatitis after Liver Transplant" sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Emerging infectious diseases.

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