Vietare la caccia nelle zone arancioni e gialle salverebbe la vita a decine di migliaia di animali
Con l'entrata in vigore dell'ultimo DPCM la caccia è stata vietata nelle regioni inserite in fascia rossa, non essendo – giustamente – contemplata tra le attività essenziali. L'esercizio venatorio, tuttavia, nonostante la forte raccomandazione a spostarsi da casa solo per motivi di necessità, è ancora consentita nelle regioni arancioni e gialle. Nel caso delle prime la caccia è permessa solo all'interno del proprio comune di residenza, mentre per le seconde la circolazione è libera, fermo restando il coprifuoco che impedisce ogni spostamento dalle 22 alle 5 su tutto il territorio nazionale, salvo che per “comprovate esigenze” – come lavoro, salute, emergenze etc etc – che vanno dimostrate con l'autocertificazione. Questi limiti salveranno la vita a decine di migliaia di animali selvatici almeno fino al 3 dicembre, come sottolineato dalla Lega Anti Vivisezione Italiana (LAV), ma moltissimi altri finiranno impallinati per mano di chi ha la “passione” di uccidere creature indifese.
Trattandosi di una “attività ludico ricreativa”, l'Ente Nazionale per la Protezione degli Animali (meglio conosciuta con l'acronimo di ENPA) ha deciso di rivolgersi al ministro della Salute Roberto Speranza per chiedere che la caccia venga immediatamente vietata anche nelle zone arancioni e gialle. “In un momento così complesso per il Paese, in cui a tutti viene chiesto senso di responsabilità e sacrificio in nome della tutela della salute pubblica, riteniamo che questo tipo di attività, che tra l’altro non rientra nello ‘stato di necessità', non debba essere consentita”, ha scritto sul proprio sito la più antica e grande associazione animalista italiana. In precedenza anche l'AIDAA (Associazione Italiana Difesa Animali e Ambiente) aveva scritto che “non è ammissibile che mentre si impedisce ai ragazzi di andare a scuola, agli sportivi di allenarsi e si chiudono gli esercizi pubblici alle 18, si permette di continuare a tenere aperta la stagione della caccia”.
L'ENPA ha elencato una serie di ragioni a sostegno della propria proposta, nell'ottica della pandemia di COVID-19 che stiamo vivendo. La caccia, spiega l'associazione, “aumenta i rischi di contagio e diffusione anche a causa dell’età avanzata dei cacciatori”, che poi entrano in contatto con la cerchia di conoscenze, dai familiari agli amici. Il dito è puntato soprattutto verso le “braccate al cinghiale”, nelle quali sono coinvolti numerosi cacciatori che entrano in stretto contatto “anche per la macellazione dei capi abbattuti e nelle fasi successive”. Tutto questo avviene “praticamente senza controlli sanitari”, ribadisce l'ENPA. Anche l'AIDAA si era scagliata contro il rischio di assembramenti, citando uscite di gruppo “quasi sempre senza mascherina” e gli spostamenti “indisturbati tra regione e regione”. L'Ente Nazionale per la Protezione degli Animali ha infine ricordato quanto siano numerosi gli incidenti di caccia, e che questo non è assolutamente il momento per mettere ulteriore pressione alle strutture sanitarie. “È ora di far prevalere gli interessi di tutti i cittadini e non quelli di una piccola minoranza privilegiata, autorizzata a uscire come se nulla fosse. Bisogna agire subito! La tutela della salute dei cittadini è prioritaria”, ha concluso l'ENPA.