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Valanghe in Italia: cosa c’è da sapere e come ridurre al minimo i rischi in montagna

L’alternanza tra freddo intenso e ondate di calore catalizzate dai cambiamenti climatici, soprattutto quando c’è vento forte che fa accumulare molta neve “instabile”, aumenta sensibilmente il pericolo di valanghe in montagna. Ecco cosa c’è da sapere per ridurre al minimo i rischi e come consultare il fondamentale bollettino nivometeorologico di Meteomont.
A cura di Andrea Centini
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Una valanga. Credit: jacky73490
Una valanga. Credit: jacky73490

In soli due giorni, nel weekend di sabato 28 e domenica 29 dicembre, a causa delle valanghe sono state registrate quattro vittime sulle Alpi italiane; tre (una donna e due bambine) nella Val Senales e una sulle Dolomiti di Brenta, un ragazzo di 28 anni. Benché siano ancora in corso le indagini per determinare le esatte cause delle slavine mortali – non si esclude il transito di sciatori fuori pista – , l'assoluta certezza di evitare questi violenti fenomeni durante un'escursione in montagna non esiste. Vi sono comunque vari fattori di rischio ben noti agli esperti, utili a inquadrare il pericolo di uno specifico territorio e a determinare le probabilità che esso possa essere interessato da valanghe. Quelli principali, come sottolineato dalla Protezione Civile della Regione Abruzzo, sono la pendenza del versante, la quantità e qualità del manto nevoso, le sollecitazioni esterne e il sovraccarico. Alla luce degli ultimi tragici eventi, l'inverno 2019-2020 risulta davvero più pericoloso per chi si avventura in montagna? Ecco cosa c'è da sapere e come ridurre al minimo i rischi.

I balzelli delle temperature giocano naturalmente un ruolo molto importante, poiché in grado di rendere instabile una massa nevosa e concorrere al suo distacco, provocando di conseguenza una slavina verso valle. Una valanga, per definizione, “è il movimento rapido di una massa nevosa, con volume superiore a 100 metri cubi e una lunghezza maggiore a 50 metri”, come si legge sul sito della Protezione Civile abruzzese. Avviene “quando su una grande quantità di neve si verifica un aumento delle forze traenti oppure una diminuzione di quelle resistenti”. L'aumento delle temperature legato ai cambiamenti climatici può essere uno dei principali motori a catalizzare il disequilibro di queste forze. Il freddo intenso, suffragato dal forte vento che permette l'accumulo di neve instabile, quando si alterna a ondate di calore rappresenta infatti una delle principali micce a innescare il pericolo di una valanga. “La temperatura sempre maggiore e la neve molto pesante fanno sì che l'assestamento di questa neve sia meno stabile. A volte succede che nevichi per un'ondata di freddo e che poi, invece, ci sia un'ondata di caldo, e questo può provocare il fenomeno delle valanghe”, ha dichiarato all'AGI il dottor Antonello Pasini, climatologo del Centro Nazionale delle Ricerche (CNR). “A volte eventi climatici di tipo diverso possono impattare, e in generale il passaggio da eventi molto freddi a eventi molto caldi favorisce episodi di tipo valanghivo. Ci sono alluvioni nelle valli e nevica 300 metri più su, e tutta quella neve poi diventa pioggia. Aumentano gli influssi caldi in particolare nell'area del Mediterraneo, basta vedere il caldo che abbiamo avuto a Natale”, ha aggiunto l'esperto all'Agenzia di Stampa Italiana. L'anno che sta per concludersi sarà del resto ricordato tra i più caldi in assoluto per le Alpi, con temperature “pazze” attese proprio a cavallo tra il 2019 e il 2020. Si stima che la colonnina di mercurio supererà i 10° centigradi oltre i 1.500 metri, con lo zero termico a quota 3mila metri. Tutto ciò concorre a rendere il manto nevoso particolarmente instabile aumentandone il rischio distacco. L'alternanza tra freddo e caldo non permette infatti alla neve di compattarsi.

Va inoltre sottolineato che a causa delle abbondanti nevicate registrate sulle Alpi nei recenti mesi autunnali sono moltissimi gli appassionati che in questo periodo si stanno riversando sulle montagne, e un maggior numero di presenze può portare di riflesso a un numero superiore di incidenti. A volte sono proprio gli stessi incauti visitatori che si avventurano fuori pista a scatenare valanghe verso valle, con il semplice passaggio. Come specificato dalla Protezione Civile, le slavine si verificano quasi sempre negli stessi posti, ovvero “aree di alta montagna con terreni rocciosi nudi, tra i 2.000 e i 3.000 metri prive per lo più di copertura vegetale”. È il motivo per cui diverse zone investite dalla famigerata tempesta Vaia – che ha spazzato via milioni di alberi – ora sono diventare a rischio valanghe, non essendoci più la vegetazione a trattenere le masse nevose che vi si accumulano.

In un momento storico in cui gli effetti dei cambiamenti climatici si fanno sempre più intensi, il rischio delle valanghe non va assolutamente sottovalutato da chiunque decida di trascorrere del tempo in montagna. Per ridurre al minimo i rischi è doveroso seguire il bollettino nivometeorologico quotidiano, punto di riferimento per conoscere il rischio valanga di un determinato territorio. Ne viene pubblicato uno nuovo ogni giorno alle 14:00 dal Meteomont, il Servizio nazionale di previsione neve e valanghe sotto l'egida del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Il Bollettino Meteomont “ è uno strumento che fornisce su scala sinottica (non meno di 100 km2) un quadro semplificato dell’innevamento e della stabilità del manto nevoso. Esso fornisce il grado di pericolo di valanghe in un determinato territorio relativamente al momento dell’emissione e, sulla base delle previsioni meteorologiche e della possibile evoluzione del manto nevoso, quello atteso per l’immediato futuro, al fine di prevenire eventuali incidenti derivanti dal distacco di valanghe”, si specifica nella descrizione dello strumento. Per una maggiore comprensione, il bollettino si basa su “un linguaggio unificato a livello Europeo secondo gli standard EAWS”.

Il rischio valanghe per ciascuna zona d'interesse viene suddiviso in cinque gradi di pericolo, ovvero debole; moderato; marcato; forte; molto forte. Il terzo grado non è un rischio intermedio, ma è già considerato critico, come sottolineato dalla Protezione Civile dell'Abruzzo, dunque non si dovrebbe mai frequentare una zona caratterizzata da tale livello di rischio. Quando il rischio è debole gli esperti considerano il manto nevoso “ben consolidato o a debole coesione ma senza tensione”; in questo caso non si escludono tuttavia piccole valanghe spontanee. Nel secondo grado di pericolo, quello moderato, “il manto nevoso è moderatamente consolidato su alcuni pendii ripidi, per il resto è ben consolidato”; non dovrebbero presentarsi grosse valanghe spontanee. Nel rischio marcato, invece, il manto nevoso presenta consolidamento moderato o debole in vari pendii ripidi, ed è per questo che un “distacco è possibile con un debole sovraccarico”; sono dunque possibili valanghe spontanee di media o grande portata. Nel rischio forte il manto nevoso è debolmente consolidato sulla maggior parte dei pendii, e potrebbe bastare un debole sovraccarico per scatenare la valanga. Il rischio molto forte, infine, è associato a manto nevoso instabile o debolmente consolidato, col rischio slavine anche su pendii moderatamente ripidi.

Consultare il Bollettino Meteomont è dunque un modo importante per informarsi sui rischi della zona che si intende visitare, ma è anche fondamentale consultare chi gestisce gli impianti delle condizioni di innevamento e dei versanti, come specificato dalla Protezione Civile. Non è un caso che tra gli indagati per la valanga in Val Senales ci siano proprio coloro che hanno il compito di vigilare sull'agibilità delle piste in baste al rischio di slavine. Tra i consigli degli esperti, per ridurre al minimo i rischi, quello di non restare mai da soli quando si va in montagna (chi non viene travolto dalla slavina può chiamare i soccorsi); il rispetto della segnaletica; evitare di transitare su versanti con forte pendenza, molto innevati e nelle ore più calde della giornata, oltre che in canaloni, zone sottovento e pendii aperti; equipaggiarsi con un apparecchio di ricerca in valanga (ARVA), un dispositivo che permette di individuare le persone sepolte, e di una piccola vanga per scavare. La maggior parte delle persone travolte dalle slavine resta infatti sommersa per un solo metro.

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