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Perché il Regno Unito distanzia le due dosi di vaccino Covid: “La seconda dopo 3 mesi”

Anziché somministrare il richiamo dopo 3 settimane, le Autorità sanitarie hanno deciso di estendere a 12 settimane l’intervallo di tempo tra la prima e la seconda dose per ampliare al massimo la platea che potrà contare almeno sulla protezione conferita da una singola dose. Il disappunto di Pfizer/BionTech: “Diversi programmi di dosaggio non sono testati”.
A cura di Valeria Aiello
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Il Regno Unito ha deciso di ritardare la somministrazione del richiamo del vaccino anti-Covid di Pfizer/BioNTech, estendendo da 3 a 12 settimane l’intervallo di tempo tra la prima e la seconda dose. Analogamente, anche le due dosi del vaccino realizzato da Astrazeneca assieme al Jenner Institute di Oxford e da poco approvato dall’Agenzia del farmaco britannica (MHRA) verranno distanziate di 3 mesi anziché 4 settimane.

Il diverso programma di dosaggio, annunciato dall’MHRA dopo il via libera al vaccino di Astrazeneca, è stato deciso per ampliare al massimo la platea che potrà contare almeno sulla protezione della prima dose, in considerazione della limitata disponibilità di vaccini e dell’andamento della curva epidemiologica nel Regno Unito, la cui crescita si ritiene sia dovuta alla maggiore infettività della nuova variante inglese del coronavirus Sars-Cov-2.

Seconda dose dopo 3 mesi

Il Comitato congiunto per la vaccinazione e l’immunizzazione (JCVI) britannico ha raccomandato di “massimizzare la protezione della popolazione, offrendo al maggior numero possibile di persone una prima dose come priorità iniziale” sulla base dei dati disponibili per il vaccino di Pfizer (efficacia contro la malattia sintomatica del 52,4% dopo 12 giorni dalla somministrazione della prima dose) e delle informazioni a disposizione del Comitato per il vaccino di Astrazeneca (efficacia del 73% a 22 giorni dalla prima dose) ma non ancora pubblicate su riviste scientifiche.

L’obiettivo è dunque quello di estendere soprattutto ai più vulnerabili l’immunizzazione, permettendo di vaccinare “il doppio delle persone nei prossimi 2-3 mesi”, qualcosa che l’JCVI ritiene “ovviamente molto più opportuno in termini di salute pubblica rispetto a vaccinare la metà delle persone con una protezione solo leggermente maggiore”. In particolare, per il vaccino di Oxford, l’JCVI ha calcolato è che l’efficacia del vaccino a 22 giorni dopo la prima dose sia del 73%, indicando che “probabilmente, l’immunità protettiva dalla prima dose ha una durata di 12 settimane”. Per il vaccino di Pfizer, invece, la cui efficacia dopo la prima dose è documentata nello studio pubblicato su NJEM, l’JCVI ha quantificato che “tra il giorno 15 e 21, l’efficacia nel prevenire Covid-19 sintomatico è stimata all’89%, suggerendo che la protezione a breve termine dopo la prima dose è molto alta dal 14° giorno dopo la vaccinazione”.

Il disappunto di Pfizer

Tuttavia, Pfizer ha affermato di non avere dati per dimostrare che una singola dose del suo vaccino possa fornire protezione contro la malattia dopo più di 21 giorni. “Lo studio di fase 3 – ha comunicato Pfizer – è stato progettato per valutare sicurezza ed efficacia del vaccino seguendo un programma di 2 dosi, separate da 21 giorni. Non ci sono dati per dimostrare che la protezione dopo la prima dose sia mantenuta dopo 3 settimane”.

Nonostante il disappunto del gigante farmaceutico, la posizione delle Autorità britanniche ha trovato il supporto dei principali chief medical officer in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, che hanno difeso il cambio di strategia in una lettera agli operatori sanitari in cui spiegano che la decisione si basa sul “rapporto rischi e benefici” e che la “maggior parte della protezione iniziale” si ottiene con la prima dose. “È probabile che la seconda dose di vaccino sia molto importante per la durata della protezione – si legge nella lettera – e ad un intervallo di dosaggio appropriato possa aumentare ulteriormente l’efficacia del vaccino”.

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