Un umidificatore a casa può ridurre il rischio di contagio da COVID, se usato in questo modo
Il coronavirus SARS-CoV-2 responsabile della pandemia di COVID-19 è un virus respiratorio, e come tutti i patogeni che sfruttano (principalmente) le vie respiratorie per infettarci prosperano e si diffondono meglio durante l'autunno e l'inverno, avvantaggiandosi dei nostri comportamenti – trascorriamo più tempo in luoghi chiusi, vicini agli altri – ma anche dell'aria più fredda e secca. Poiché una maggiore umidità riduce la trasmissibilità di questi virus, alcuni scienziati suggeriscono di utilizzare un umidificatore a casa e nei luoghi pubblici (anche) per proteggerci dall'infezione da coronavirus, così come dall'influenza e da altri patogeni. Fra coloro che promuovono l'umidificazione degli ambienti figura la dottoressa Linsey Marr dell'Università Virginia Tech University, specializzata nella trasmissione dei virus attraverso gli aerosol e da un anno impegnata nello studio del SARS-CoV-2.
“Potresti investire in un umidificatore e impostarlo in modo da mantenere l'umidità al di sopra del 40 percento ma al di sotto del 60 percento durante inverno”, ha dichiarato la scienziata in una intervista a Business Insider. “Il virus non sopravvive altrettanto bene in queste condizioni e la tua risposta immunitaria funziona meglio di quando l'aria è secca”, ha aggiunto la ricercatrice. Perché l'umidità andrebbe impostata proprio tra il 40 e il 60 percento? A sottolinearlo in un comunicato e in una petizione diretta all'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) vi sono alcuni esperti di malattie infettive, come la dottoressa Stephanie Taylor, consulente per il controllo delle infezioni presso la prestigiosa Scuola di Medicina dell'Università di Harvard e membro dell'ASHRAE Epidemic Task Group: “È giunto il momento che le normative sulla qualità dell'aria interna includano un livello di umidità del 40-60 percento di umidità relativa. Questo è il livello ottimale per il nostro sistema immunitario respiratorio e ridurrà la diffusione delle malattie respiratorie stagionali e il loro carico sulla società”, ha spiegato la scienziata.
A ribadire il concetto anche l'illustre professoressa Akiko Iwasaki, docente di Immunobiologia e Biologia molecolare, cellulare e dello sviluppo presso l'Università di Yale, oltre che ricercatrice dell'autorevole Howard Hughes Medical Institute. “Il novanta percento della nostra vita nei Paesi sviluppati viene trascorsa in ambienti chiusi, gli uni accanto agli altri. Quando l'aria esterna fredda con poca umidità viene riscaldata all'interno, l'umidità relativa dell'aria scende a circa il 20 percento. Questa aria secca fornisce un percorso chiaro per i virus presenti nell'aria, come il SARS-CoV-2”, ha dichiarato la scienziata. “La capacità del nostro sistema immunitario di rispondere agli agenti patogeni viene soppressa dall'aria secca. Gli studi hanno dimostrato che hanno un punto debole nell'umidità relativa. L'aria compresa tra il 40% e il 60% mostra una capacità sostanzialmente inferiore di trasmettere i virus e consente al nostro naso e alla nostra gola di mantenere robuste risposte immunitarie contro di essi – ha aggiunto la professoressa Iwasaki -, ecco perché consiglio gli umidificatori durante l'inverno e perché ritengo che il mondo sarebbe un posto più sano se tutti i nostri edifici pubblici mantenessero la loro aria interna al 40-60 percento di umidità relativa”. Tra gli altri esperti a sottoscrivere la petizione per l'OMS, volta proprio a ottenere una regolamentazione dell'umidità per gli ambienti interni di locali pubblici come scuole e uffici, vi sono anche il dottor Walter Hugentobler, medico generico ed ex docente dell'Institute of Primary Care presso l'Università di Zurigo, e il professor Adriano Aguzzi, direttore dell'Istituto di Neuropatologia dell'Università di Zurigo e dello Swiss Medical Journal.
Diverse ricerche hanno dimostrato il ruolo significativo dell'umidità nel ridurre la capacità di diffondersi del coronavirus, come gli studi “Temperature, Humidity, and Latitude Analysis to Estimate Potential Spread and Seasonality of Coronavirus Disease 2019 (COVID-19)” pubblicato su JAMA Network e “Humidity is a consistent climatic factor contributing to SARS‐CoV‐2 transmission” pubblicato su Transboundary and Emerging Diseases, spiegando le ragioni di questo effetto. Innanzitutto, nell'aria più secca il coronavirus tende a restare più a lungo a un'altezza più elevata dal terreno, dato che le particelle virali assorbono meno umidità, pertanto c'è un rischio maggiore che venga inalata da chi attraversa aerosol contaminati. Le basse temperature rendono inoltre meno pronto il nostro sistema immunitario e più stabili i “gusci” lipidici che contengono l'informazione genetica del virus, che invece tendono a essiccarsi quando fa caldo. Se a questo aggiungiamo il fatto che le ciglia nella mucosa nasale funzionano meglio nel respingere i patogeni in un ambiente umido, dato che con il secco tendono a piegarsi e a ridurre la propria efficacia meccanica, non c'è da stupirsi della raccomandazione degli esperti dell'uso di un umidificatore. Naturalmente senza mai dimenticare mascherine, igiene delle mani con acqua e sapone o un gel idroalcolico, distanziamento sociale e aerazione dei locali.
Va tuttavia tenuto presente che l'umidità può avere degli effetti collaterali da non sottovalutare, soprattutto se non regolata in modo adeguato, pertanto non tutti gli scienziati si sentono di raccomandare un umidificatore come dispositivo per ridurre il rischio di contagio. “Questo è un approccio non dimostrato e ha il potenziale per effetti collaterali molto negativi”, ha dichiarato a Elemental il professor Donald Milton, docente di salute ambientale presso l'Università del Maryland, che dunque ritiene di non consigliare i dispositivi. Anche la dottoressa Linsey Marr mette in guardia dal superare il 60 percento di umidità relativa, a causa del rischio superiore di attacchi d'asma e di reazioni allergiche per le muffe, senza contare il ridotto comfort di un ambiente così “tropicalizzato”.