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Covid 19

Un esame dell’urina dei pazienti Covid potrebbe prevedere chi rischia la forma grave dell’infezione

Un team di ricerca americano guidato da scienziati dell’Università Statale Wayne di Detroit ha dimostrato che nelle urine dei pazienti Covid ci sono elevate concentrazioni di biomarcatori associati all’attivazione del sistema immunitario. Nei pazienti con diabete e ipertesi tale concentrazione è ancora maggiore. Dall’analisi dell’urina si potrebbe prevedere quali sono i soggetti che sono più a rischio di sviluppare la forma potenzialmente letale della COVID-19.
A cura di Andrea Centini
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Alla data odierna, mercoledì 28 aprile 2021, il coronavirus SARS-CoV-2 ha contagiato nel mondo poco meno di 149 milioni di persone e ne ha uccise 3,14 milioni (in Italia i contagi complessivi sono circa 4 milioni e i decessi 120mila). Nella maggior parte dei casi le persone che sviluppano la forma grave della COVID-19 (l'infezione provocata dal patogeno pandemico) e perdono la vita per essa sono anziane o hanno patologie pregresse (comorbilità), tuttavia non sono mancate anche numerose vittime giovani e in salute. Conoscere in anticipo chi è più a rischio di sviluppare la forma potenzialmente letale della patologia è un'informazione preziosissima che può indirizzare precocemente i pazienti verso le terapie più opportune, come ad esempio gli anticorpi monoclonali, abbattendo così il rischio di decesso. Ma basarsi sui soli fattori di rischio noti – come appunto l'età avanzata e le malattie pregresse – non è sufficiente. Un nuovo studio ha mostrato che per individuare le persone contagiate più a rischio di complicazioni potrebbe essere sufficiente un semplice esame dell'urina.

A determinarlo è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati della Scuola di Medicina dell'Università Statale Wayne di Detroit (Michigan), guidato dalla professoressa Dragana Komnenov del Dipartimento di Medicina Interna. Gli scienziati hanno condotto analisi delle urine di pazienti con COVID-19 e le hanno messe a confronto con quelle di persone sane, rilevando che in quelle dei contagiati erano presenti livelli elevati di specifici biomarcatori associati all'attivazione del sistema immunitario. In altri termini, sono state identificate le “firme biologiche” molecolari indotte dall'invasione virale. Le concentrazioni di queste sostanze erano ancor più elevate nei soggetti con diabete e ipertensione, le principali comorbilità associate alla mortalità per COVID-19.

Attraverso l'analisi delle concentrazioni di questi biomarcatori nelle urine, la professoressa Komnenov e i colleghi sperano di individuare una composizione peculiare in grado di identificare quali sono i pazienti che svilupperanno la forma grave della COVID-19 e quali no, indipendentemente dalle condizioni sottostanti. Nello specifico, i ricercatori puntano a individuare in anticipo i pazienti che vanno incontro al rischio della cosiddetta “tempesta di citochine”, una risposta esagerata del sistema immunitario che può essere più pericolosa dell'infezione stessa. Si tratta infatti di una complicazione che può portare all'accumulo di liquido infiammatorio nei polmoni e innescare la sindrome da distress respiratorio acuto o ARDS, un'insufficienza polmonare grave che porta all'intubazione in terapia intensiva. Spesso i pazienti che sviluppano l'ARDS perdono la vita (una nuova terapia sperimentale testata su modelli murini è stata in grado di prevenirla).

L'esame delle urine è una procedura non invasiva (a differenza di prelievi di sangue) e potrebbe diventare uno screening rapido e standardizzato per tutti i pazienti che contraggono la COVID-19, ma per confermare l'effettiva validità del test saranno necessari ulteriori studi. I dettagli della ricerca “Urine cytokines as biomarkers in COVID-19 patients” saranno presentati durante il meeting annuale della American Physiological Society's (APS) che si terrà in forma virtuale – proprio a causa dell'emergenza coronavirus – durante l'Experimental Biology 2021.

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