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Covid 19

Un coronavirus del raffreddore potrebbe rendere più grave la COVID-19

Poiché il coronavirus umano OC43 (HcoV-OC43) responsabile di un raffreddore possiede una proteina S o Spike molto simile a quella del coronavirus SARS-CoV-2, nei pazienti contagiati da entrambi i patogeni il sistema immunitario potrebbe fare “confusione”, un processo immunologico che potrebbe rendere più aggressiva la COVID-19.
A cura di Andrea Centini
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In giallo le particelle virali del coronavirus, in blu e viola le strutture della cellula invasa
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L'infezione causata da un comune coronavirus del raffreddore potrebbe rendere più grave la COVID-19, la patologia innescata dal coronavirus SARS-CoV-2. La ragione risiederebbe in un fenomeno immunologico chiamato “immunità crociata”, che è dovuto alla somiglianza tra il patogeno responsabile della pandemia che stiamo vivendo e il suddetto virus del raffreddore, il coronavirus umano OC43 (HcoV-OC43). In parole semplici, una precedente esposizione a OC43 potrebbe confondere gli anticorpi prodotti dal sistema immunitario e favorire l'aggressività del nuovo coronavirus emerso in Cina.

A dimostrare questo potenziale rischio è stato un team di ricerca internazionale composto da tre scienziati: l'immunologo Alberto Beretta di Solongevity Research di Milano; Martin Cranage dell'Institute for Infection and Immunity dell'Università di Londra e Donato Zipeto del Laboratorio di Biologia Molecolare e Virologia presso il Dipartimento di Neuroscienze e Biomedicina dell'Università di Verona. Il dottor Beretta cura una pagina Facebook chiamata “Immunologia Oggi” nella quale ha pubblicato un lungo post titolato “Quando i virus si assomigliano”, nel quale viene spiegata la ragione per cui le interazioni immunologiche tra patogeni simili possono determinare un decorso peggiore di una patologia, come nel caso della COVID-19.

Il problema della somiglianza tra OC43 e SARS-CoV-2 risiede nel fatto che essa è concentrata soprattutto a livello della proteina S o Spike, la glicoproteina superficiale che il patogeno sfrutta per legarsi al recettore ACE2 delle cellule umane, disgregare la parete cellulare, riversare all'interno l'RNA virale e avviare il processo di replicazione, che poi scatena l'infezione vera e propria. Poiché i due patogeni sono molto somiglianti, se un paziente ha già sperimentato un raffreddore causato da OC43, gli anticorpi che vengono prodotti in caso di infezione da SARS-CoV-2 potrebbero essere quelli “sbagliati”. Come spiegato dallo stesso Beretta in un'intervista a Repubblica, “quando le infezioni con due virus che si assomigliano si susseguono nella stessa persona, il sistema immunitario rischia di sbagliarsi e produrre anticorpi inutili perché incapaci di riconoscere, tra i due, il virus più pericoloso”.

L'immunologo sottolinea che diversi pazienti con COVID-19 producono anticorpi progettati per bloccare la Spike di OC43 che invece si legano a quella del SARS-CoV-2, il processo immunologico che potrebbe rendere più pericolosa l'infezione. Diverse studi clinici, del resto, hanno rilevato che più forte era questa risposta anticorpale “sbagliata”, e peggiore era il decorso della malattia per i pazienti. Gli esperti affermano che le interazioni crociate sono possibili solo con virus molto simili dal punto di vista genetico (sia l'OC43 che il SARS-CoV-2 sono betacoronavirus), pertanto situazioni analoghe non possono emergere con i virus responsabili dell'influenza. I dettagli della ricerca “Is Cross-Reactive Immunity Triggering COVID-19 Immunopathogenesis?” condotta da Beretta e colleghi sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Frontiers in Immunology.

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