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Un braccio robotico che si muove con il pensiero

Non è un caso unico di arto bionico per pazienti tetraplegici ma è certamente la prima volta che un simile congegno raggiunge tali elevati livelli di funzionalità.
A cura di Redazione Scienze
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Una donna completamente paralizzata dal collo in giù che ha sbalordito gli stessi dottori per la straordinaria abilità dimostrata nell'utilizzare il braccio robotico: la protagonista di questa storia, che illustra quanto l’incontro tra tecnologia e medicina può portare la scienza oltre frontiere inimmaginabili fino a pochi decenni fa, è una signora di cinquantadue anni chiamata Jan, paraplegica da oltre dieci anni a causa di una malattia degenerativa che ne ha attaccato e danneggiato in maniera permanente il midollo spinale con effetti sul sistema nervoso equivalenti a quelli conseguenti alla frattura del collo.

Grazie ad alcuni microscopici sensori collocati all'interno della corteccia motoria del cervello del paziente, i ricercatori della University of Pittsburgh sono riusciti a creare un dispositivo in grado di tradurre in un fluido movimento la naturale attività cerebrale: la caratteristica principale del braccio robotico, infatti, è quella di essere maggiormente intuitivo da usare per i pazienti, consentendo di focalizzarsi semplicemente sul proprio obiettivo (ad esempio: afferrare un bicchiere) anziché sulle modalità per raggiungerlo (ovvero immaginare il movimento da far fare alla protesi per riuscirci). Dopo appena due giorni di training, dunque, Jan era già in grado di muovere il proprio arto bionico a destra e sinistra, avanti e indietro, su e giù; nelle tredici settimane successive i miglioramenti, per quanto riguarda velocità e coordinazione, sono stati tali da stupire persino gli studiosi che hanno portato avanti il lavoro.

Due piccoli congegni dalla superficie di pochi millimetri sono stati impiantati nell'encefalo della paziente: si tratta di griglie munite ciascuna di 96 elettrodi: questi sono in grado di rilevare gli impulsi neuronali e di trasformarli in istruzioni per il braccio robotico che esegue così i comandi, piegandosi a seconda dell'esigenza richiesta. In poco più di tre mesi, grazie ad essi, Jan è diventata in grado di arrivare a compiere il 91.6 % dei movimenti base: dopo tale successo i ricercatori, che hanno pubblicato modalità e risultati del proprio studio sulla prestigiosa rivista The Lancet, mirano a migliorare ulteriormente la propria "creazione", innanzitutto montandola sulla sedia a rotelle della donna per renderla finalmente di uso quotidiano e, successivamente, potenziandone addirittura la sensibilità in modo da restituire il senso del tatto.

Quello dei ricercatori americani non è l'unico progetto che si muove in questa direzione: gli studi nel campo delle protesi robotiche promettono brillanti sviluppi che, nel giro di pochissimi anni, potremmo essere in grado di conoscere. Certamente merita una menzione speciale il progetto italiano MY HAND anch'esso impegnato nella realizzazione di arti artificiali di ultima generazione, in questo caso specifico per la sostituzione di quelli amputati. Le giovani menti dei ricercatori della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa portano avanti l'obiettivo di riuscire a migliorare la vita di persone dal corpo danneggiato da traumi o da patologie, puntando magari a restituire "nelle loro mani" un futuro migliore.

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