Un anno esatto dal primo caso di COVID, Pregliasco: “Conviveremo ancora a lungo col virus”

Domenica 17 novembre 2019 è una data che resterà impressa a caratteri cubitali nei libri di storia. Quel giorno di un anno fa, infatti, fu registrato il primo caso ufficiale (diagnosticato) al mondo di COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2, il patogeno responsabile della pandemia che stiamo vivendo e che ha cambiato la vita di tutti noi. Si trattava di un uomo di 55 anni anni della provincia dello Hubei, dove si trova la megalopoli cinese Wuhan da cui si ritiene che il virus si sia diffuso nel resto del pianeta. All'epoca gli scienziati non sapevano ancora con cosa avevano a che fare, e solo diverse settimane dopo da quella data infausta si seppe che la “misteriosa polmonite” sperimentata dal paziente era stata provocata da un nuovo, temibile virus. Basti pensare che ad oggi, sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati americani dell'Università Johns Hopkins, il SARS-CoV-2 ha contagiato (ufficialmente) 54,5 milioni di persone e ne ha uccise 1,3 milioni (in Italia le infezioni complessive dall'inizio della pandemia sono 1,18 milioni, mentre le vittime 45.229). Alla luce di questo infausto anniversario, abbiamo contattato per un parere il professor Fabrizio Pregliasco, virologo presso il Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano, Presidente Nazionale dell’A.N.P.A.S. (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) e Direttore Sanitario della Casa di Cura Ambrosiana SRL di Cesano Boscone. Ecco cosa ci ha detto.
Professor Pregliasco, è trascorso un anno esatto dal primo caso diagnosticato di COVID-19. Lei pensa che se i cinesi avessero diffuso prima le notizie sulla “misteriosa polmonite” che stava colpendo i cittadini di Wuhan, si sarebbe potuto fare qualcosa per evitare lo scoppio della pandemia? C'è stata anche l'impressione che qualcosa sia stata tenuta nascosta, anche se non lo sapremo mai.
Non sappiamo quanto hanno nascosto, nei fatti. Mi rendo conto che a posteriori si possa dire “accipicchia”, però rimane sempre questo elemento di dubbio. Questa è una patologia in cui gli asintomatici hanno una grande importanza. Lo abbiamo ben compreso solo recentemente che sono sicuramente una concausa del mantenimento della catena dei contagi. È una malattia che nella maggior parte dei casi determina un'infezione assolutamente irrisoria e banale, anche se non sappiamo ancora se in futuro possa lasciare in eredità qualche problema.
Da quando pensa che Pechino abbia iniziato ad avere sospetti? Tenendo presenti le esperienze pregresse con la SARS e altre epidemie, e per come si sono riempiti gli ospedali in Italia e in altri Paesi quando sono stati investiti dalla prima ondata dei contagi, qualcosa dovrebbero averla capita abbastanza precocemente.
Era anche il periodo dell'influenza. Se fosse una malattia in cui tutte le persone diventano blu sarebbe un conto, ma qui siamo davanti a forme influenzali, con manifestazioni assolutamente sovrapponibili. Anche la polmonite, se non si fa la lastra e la curi così, nelle forme non pesanti è una comune polmonite dal punto di vista della sintomatologia. Come accaduto in Italia, anche in Cina c'è stata una crescita con una tempistica diversa, anticipatoria di forse un mese o due nell'evidenza clinica, perché la malattia si mostra come un iceberg. L'iceberg ha una parte visibile che è assolutamente irrisoria rispetto a quella sottostante. È emersa dopo con le indagini sulle acque di scarico, sui donatori positivi a dicembre etc etc. Sicuramente noi abbiamo avuto un'ondata che è arrivata tra ottobre e gennaio. Con i voli diretti a Malpensa (Milano -Wuhan), giornalieri, arrivavano migliaia di persone ogni settimana. C'erano poi quelle che potevano arrivare nei camion, triangolati o altro. I “business man” italiani o cinesi arrivavano a Malpensa e avevano – guarda caso – contatti interessanti giustappunto con le zone del bergamasco e del bresciano, dove c'è una vicinanza industriale pazzesca. Queste persone sono state inconsapevoli vettori, asintomatiche, o comunque portatrici delle forme più banali della malattia. Il 50 percento è asintomatico. Sono arrivati, si sono confusi con l'influenza e hanno creato la parte sottostante dell'iceberg, che a un certo punto si è fatta vedere tutta in un botto. In una percentuale bassa, ma che in termini assoluti è stata pesante. Poi con il lockdown abbiamo sciolto l'iceberg, l'abbiamo ridotto, ma sott'acqua, sotto il livello dell'evidenza, i casi sono rimasti. Riaprendo i contatti, si è ripresentato. È questa la peculiarità di questa malattia, che rende difficile l'inquadramento della sua pericolosità.
Alla luce di questi dati, cosa ne pensa del nuovo studio italiano guidato da scienziati della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori sul fatto che il virus circolasse già dall'estate 2019? I dati genomici puntano tutti all'autunno dello scorso anno in Cina, come origine.
La datazione dell'inizio è ancora da verificare. Non è che un singolo studio possa dare con certezza un risultato. Chi lo sa qual è la tempistica. Diciamo che già a dicembre altri studi lo davano per confermato. In questo studio sono stati osservati gli anticorpi di soggetti asintomatici.
Qualche esperto ritiene che questi anticorpi possano derivare da reattività crociata con coronavirus affini al SARS-CoV-2, come quelli del raffreddore che hanno un patrimonio genetico in parte sovrapponibile. Cosa ne pensa?
C'erano degli elementi per supporlo. Nei malati si è vista la cross reattività con altri coronavirus. È un aspetto da approfondire, ma ci può stare. È per rimarcare che tutto è iniziato prima. Il caso uno non era il caso uno, sarà stato il caso mille, cinquemila, diecimila. Chi lo sa.
A un anno esatto da questo caso uno, quali sono le informazioni cruciali che ancora non conosciamo riguardo alla COVID-19?
La storia naturale, che è solo di un anno. Anche meno. Perché la casistica la seguiamo da meno. Quindi non sappiamo se l'asintomatico l'ha davvero “schivato” ed è finita lì, o qualche danno a lungo termine ce l'ha. Ad oggi si può dire che è meglio evitarselo in ogni caso. Non sappiamo se alcune persone che hanno avuto danni a livello respiratorio li hanno ancora. Alcuni non hanno recuperato dai sintomi dopo 3 mesi. Conosciamo la storia naturale della malattia solo da febbraio, e la storia naturale delle malattie è più lunga. Non sappiamo nel tempo come questa patologia può evolvere.
Ci sono buone notizie sui vaccini candidati, in particolar modo su quello di Pfizer e BioNTech. Cosa ne pensa?
Ci sono dei lotti in produzione, quindi qualche milione di dosi sarà disponibile già a dicembre. Però per organizzare una “guerra” su tutto il territorio nazionale, ci vorrà un annetto. Ma da diverse indagini che ho sentito, un 30 percento non si sarebbe vaccinato. Quindi sarà da valutare quale sarà il desiderio di vaccinarsi. La difficoltà di questa malattia è che è double face: è una malattia banale, ma che nella sua dimensione crea dei problemi pazzeschi e mortalità. Anche se le persone che presentano la forma grave sono poche, in termini percentuali.
Pensa che andremo incontro a una terza ondata qui in Italia? Quando ci libereremo di questo virus?
La spagnola ha avuto tre ondate. È chiaro che non ci sia un automatismo per una terza ondata; dipenderà da come noi gestiremo i contatti, perché le persone sono ancora molto suscettibili e quindi noi non possiamo far altro con le misure, se non spalmare nel tempo queste infezioni. Ci sono state almeno 22 persone che si sono reinfettate, quindi ancora non sappiamo se rimane una risposta immunitaria per la vita. È tutto da capire. Dovremo convivere con questo virus ancora a lungo. Sicuramente per tutto il 2021.