Trovata plastica negli animali degli abissi: abbiamo inquinato anche la Fossa delle Marianne
Gli organismi che popolano gli ecosistemi marini più profondi della Terra – come la Fossa delle Marianne – hanno plastica nei propri stomaci. In altri termini, anche gli ambienti teoricamente più ‘incontaminati' e difficili da raggiungere del nostro bistrattato pianeta sono stati investiti dalla spazzatura prodotta dall'uomo. A fare la drammatica scoperta un team di ricerca dell'Università di Newcastle (Gran Bretagna) impegnata nel progetto Sky Ocean Rescue, una campagna di sensibilizzazione dedicata proprio al tema dell'inquinamento causato dalla plastica.
Gli studiosi, coordinati dal professor Alan Jamieson, già nel mese di febbraio avevano pubblicato uno studio su Nature Evolution & Ecology sul bioaccumulo di sostanze inquinanti nella fauna marina delle fosse oceaniche, in particolar modo crostacei, e dopo aver analizzato i dati hanno deciso di studiare la situazione in modo sistematico. Hanno raggiunto in nave i punti più profondi dell'oceano Pacifico, e da lì hanno lasciato in acqua piccoli sommergibili – costruiti in collaborazione con Shimadzu UK Ltd – capaci di immergersi a profondità incredibili, dove hanno catturato i campioni. Tra i luoghi sondati da Jamieson e colleghi, oltre all'Abisso Challenger della Fossa delle Marianne, il punto più profondo in assoluto a ben 10.870 chilometri sotto la superficie del mare, anche la Fossa delle Kermadec a 10.047 metri di profondità, la Fossa di Izu-Bonin e le acque attorno a Giappone, Perù, Cile e Nuove Ebridi (Vanuatu).
Una volta issati a bordo gli animali, gli scienziati ne hanno analizzato gli stomaci, facendo la drammatica scoperta. Il 100 percento di quelli prelevati dalla Fossa delle Marianne aveva infatti ingurgitato materiali inquinanti prodotti dall'uomo, mentre il dato più basso riguardava le acque profonde delle Nuove Ebridi, col 50 percento degli organismi contaminati. Tra le sostanze rilevate vi erano fibre di ramie, rayon, lyocell, polietilene, poliammid, nylon e altro ancora, tutte utilizzate normalmente in numerosi prodotti, come i tessuti. Jamieson e colleghi hanno trovato anche polivinili simili al PVA e al PVC.
Questa varietà è dovuta al fatto che i rifiuti plastici si accumulano in grandi quantità sui fondali, e a causa del lunghissimo tempo necessario per la degradazione vengono ingeriti dagli organismi che li popolano. Gli inquinanti arrivano anche dalle carcasse degli animali che affondano dopo la morte, diffondendo ovunque le sostanze inquinanti prodotte dall'uomo. Molti degli organismi catturati sono poco conosciuti, e la loro biologia naturale probabilmente non sarà mai conosciuta dai biologi, dato che sono stati ‘abituati' dall'uomo a cibarsi di queste sostanze artificiali, con danni incalcolabili alla catena alimentare.
Seza alcun intervento entro il 2050 nei nostri mari e oceani ci sarà più plastica che pesce: del resto ogni anno riversiamo in acqua ben 8 milioni di tonnellate di detriti plastici. Lo dimostrano le “isole di plastica” che continuano a formarsi e ad accrescersi, come quella ai Caraibi, o gli impressionanti accumuli di rifiuti trovati anche su isole remote e disabitate.