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Trentacinque anni fa il disastro di Seveso

Il 10 luglio di 35 anni fa una nube tossica contenente diossina di sprigionava in seguito ad un incidente da uno stabilimento dell’Icmesa: il comune maggiormente colpito fu Seveso, in Brianza.
A cura di Nadia Vitali
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Per l'Italia fu uno dei disastri ambientali più gravi della storia che, sebbene fortunatamente non provocò morti immediate, fu causa di innumerevoli danni subiti dall'ambiente, dagli animali e anche dalle persone: vittime del veleno che nel corso degli anni si è insinuato silenziosamente all'interno dei loro corpi, compromettendoli per sempre. Era il 10 luglio del 1976, le 12 e 37 di un sabato a Meda, comune brianzolo, quando una nube densa di colore nero, contenete diossina della tipologia più tossica esistente, si levò dallo stabilimento della società Icmesa, che produceva per conto de LaRoche: il vento che soffiava quel giorno portò in poco tempo quell'aria irrespirabile in direzione Sud, investendo così in pieno il comune di Seveso, immediatamente confinante con Meda e, subito dopo, Cesano Maderno e Desio.

Il sistema di controllo di un reattore chimico era andato in avaria: conseguenza fu che la temperatura salì oltre i limiti previsti e la risposta, per evitare un'esplosione, fu l'apertura delle valvole di sicurezza, quando ormai, però, la reazione chimica in seguito al calore venutosi a creare aveva già formato una massiccia dose di TCDD, sostanza comunemente nota come diossina. Otto giorni passarono nel silenzio, prima che ci si decidesse ad avvisare la popolazione dei territori circostanti di quale gravissimo evento era accaduto a due passi dalle proprie case, sopra le proprie teste.

I vegetali che furono investiti dalla nube tossica, vennero praticamente arsi e morirono immediatamente, mentre migliaia furono gli animali che dovettero essere abbattuti affinché fosse scongiurato il rischio di ingerimento di carni contaminate. Le diossine non sono acutamente tossiche e, dunque, non provocano danni immediatamente visibili ma, al contempo, la caratteristica di non essere solubili nell'acqua le rende particolarmente resistenti, giacché non può bastare una pioggia a lavarle vie, una volta depositatesi sulle abitazioni o sui vegetali. Esse, inoltre, sono liposolubili, il che implica che la forma di assorbimento più frequente della diossina abbia luogo proprio con l'alimentazione: essa si deposita all'interno dei tessuti grassi dopodiché non può essere più metabolizzata dall'organismo.

Per questa ragione le conseguenze di quel tragico evento vengono tutt'ora pagate dalla popolazione dei comuni limitrofi allo stabilimento, da tempo ormai smantellato: un'incidenza  di 6.6 volte maggiore di disfunzioni tiroidee tra i figli di quanti vivevano in quell'area, rispetto a figli di persone viventi lontano dalla fabbrica, parla da sé. Alterazioni si sono avute anche sull'apparato riproduttivo di quanti erano adolescenti all'epoca del disastro, mentre su un aumento dei casi di tumore si discute ancora: sembrerebbe quasi certo che tra le donne che hanno vissuto nella zona definita di contaminazione "molto alta" il tumore al seno risulti essere più frequente, mentre per tutti coloro che si trovavano nelle zone di "alta" e "media" contaminazione l'incidenza di tumori linfatici risulta essere importante. Ma su questo la disputa è ancora aperta.

Resta tuttavia una macchia nella nostra storia: una tragica fatalità che, senza dubbio, poteva scatenare anche conseguenze più gravi, forse nel caso della scongiurata esplosione, ma i cui aspetti gravi sono stati celati ad una intera popolazione ben oltre il consentito, non si sa bene con quale scopo ma, certamente, contribuendo a rendere la questione ancora più drammatica. Ancora oggi, in quei comuni della Brianza c'è chi paga e chi ha pagato con la propria salute le conseguenze di quell'atto di superficialità.

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