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Covid 19

Tre nuovi studi mostrano che i vaccini Covid sono la via d’uscita dalla pandemia

L’efficacia delle formulazioni già approvate e la versatilità di tecnologie come quella dell’Rna messaggero aprono a un futuro post-pandemico, indicando che la fine del tunnel potrebbe non essere poi così lontana.
A cura di Valeria Aiello
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Tre nuovi studi portano a una medesima conclusione: i vaccini anti-Covid sono la via d’uscita dalla pandemia. L’efficacia delle formulazioni già approvate e la versatilità di tecnologie come quella dell’Rna messaggero aprono a un futuro post-pandemico, indicando che la fine del tunnel potrebbe non essere poi così lontana. Anche nel caso in cui il virus evolva verso varianti in grado di eludere la risposta immunitaria indotta dagli attuali sieri, una circostanza che rischierebbe di riportarci al punto di partenza, ma ormai in possesso degli strumenti necessari ad affrontare anche lo scenario peggiore.

D’altra parte, i risultati di nuove ricerche scientifiche si aggiungono alle crescenti evidenze secondo cui i vaccini a nostra disposizione continueranno a proteggere le persone per mesi, o forse per anni, con la possibilità di essere impiegati anche in combinazioni eterologhe per rafforzare ulteriormente la risposta immunitaria contro le varianti esistenti.

In particolare, il primo di questi tre studi, pubblicato su Nature dai ricercatori della Washington University School of Medicine a St. Louis, suggerisce che chi ha ricevuto un vaccino anti-Covid mRna, come quelli prodotti da Pfizer e Moderna, potrebbe non aver bisogno di ulteriori dosi di richiamo contro le varianti esistenti. Ne parlavamo anche qui, analizzando i risultati di questa ricerca che mostrano una risposta immunitaria persistente nei vaccinati, in parte dovuta alla presenza delle cellule B dirette contro Sars-Cov-2 a quasi quattro mesi dalla prima dose.

Un secondo studio, condotto dai ricercatori dell’Università di Oxford che stanno testando le diverse combinazioni di vaccini anti-Covid nell’ambito del trial clinico Com-Cov, ha indicato che l’approccio eterologo può funzionare in modo altrettanto efficiente, soprattutto nel caso in cui la prima dose di Astrazeneca sia seguita da una di Pfizer. I risultati della sperimentazione, disponibili in preprint su The Lancet, hanno infatti indicato che il mix vaccinale induce risposte anticorpali e cellulari superiori a due dosi di uno stesso vaccino.

Un altro risultato promettente, arrivato sempre dall’Università di Oxford, ha mostrato che una terza dose di Astrazeneca a distanza di circa 30 settimane dal primo ciclo vaccinale con il siero anglo-svedese, aumenta il titolo anticorpale a un livello correlato alla più alta efficacia dopo la seconda iniezione, incrementando inoltre la risposta delle cellule T. Questi dati, disponibili sempre in preprint su The Lancet, lasciano intendere che l’ulteriore somministrazione possa potenziare e probabilmente rinnovare la protezione qualora l’efficacia delle prime due dosi dovesse diminuire. “Se si rivelasse necessario, potremo così aumentare la risposta immunitaria – ha affermato il professor Andrew Pollard, a capo dell’Oxford Vaccine Group – . Credo siano dati incoraggianti per dimostrare che dosi aggiuntive possano essere utilizzate con un alto profilo di tollerabilità ed efficacia per accrescere il potenziale della risposta immunitaria”.

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