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Trapianto organi, identificato il gene che provoca il rigetto: svolta storica

Un team di ricerca internazionale ha identificato un gene – chiamato LIMS1 – che catalizza il rischio di rigetto dopo i trapianti di organo. La scoperta, alla quale hanno partecipato diversi istituti italiani, permetterà di ridurre significativamente i trapianti con esito negativo e di migliorare le terapie anti-rigetto.
A cura di Andrea Centini
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Identificato un gene che provoca il rigetto degli organi dopo il trapianto. Si tratta di una scoperta rivoluzionaria che potrebbe ridurre significativamente il numero di trapianti con esito infausto e salvare moltissime vite. A scoprire il gene, chiamato LIMS1 e responsabile della produzione di una proteina, è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della Scuola di Salute Pubblica "Mailman" dell'Università Columbia di New York, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi di numerosi atenei e istituti europei ed americani. Diversi i centri italiani che hanno giocato un ruolo cruciale nella ricerca: l'Ospedale Universitario Città della Salute e della Scienza di Torino; l'Università di Torino; l'Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia e l'Università di Brescia.

La ricerca. Gli scienziati, coordinati dal professor Nicholas J. Steers, hanno identificato il “gene del rigetto” dopo aver scandagliato migliaia di caratteristiche genetiche di circa 2.700 coppie di donatori e riceventi, tutte sottoposte a un trapianto di rene. Circa un terzo delle coppie è stato seguito presso il nosocomio del capoluogo piemontese. Dall'analisi statistica dei dati è emerso che il 60 percento dei soggetti manifesta un gene che produce la proteina LIMS1, rintracciabile in numerosi tessuti (compreso quello renale). Il restante 40 percento non esprime la proteina. Se il donatore produce la proteina LIMS1 e il ricevente dell'organo no, scatta il meccanismo immunitario di rigetto dell'organo trapiantato, con la produzione di anticorpi anti-LIMS1.

Speranze. Come spiegato dalla dottoressa Silvia Deaglio, ricercatrice presso il Dipartimento di Genetica dei Trapianti dell'Università di Torino e coautrice dello studio, la scoperta ha due distinti benefici: il primo è quello di poter accoppiare con maggior accuratezza donatori e riceventi sulla base di queste informazioni genetiche, abbattendo di fatto il rischio di rigetto. Il secondo è poter monitorare l'andamento dei trapianti verificando la presenza di anticorpi anti-LIMS1, che si manifestano prima del rigetto vero e proprio. Ciò permettere di intervenire con maggiore efficacia con le terapie anti-rigetto. Va inoltre tenuto presente che il gene del rigetto è stato valutato solo nel tessuto renale, ma esso è presente anche in quello cardiaco e polmonare. Gli scienziati devono ora capire se anche per queste tipologie di trapianti LIMS1 ha un effetto così critico sull'esito del trapianto. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine.

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