Tra i giovani più asintomatici e rischio COVID-19 dimezzato: dubbi su chiusura scuole
Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base della mappa interattiva messa a punto dagli scienziati dell'Università Johns Hopkins, il coronavirus SARS-CoV-2 ha contagiato nel mondo quasi 8,4 milioni di persone, uccidendone circa 450mila (in Italia si registrano 238mila contagiati e 34mila vittime). Gli studi epidemiologici condotti sulle popolazioni coinvolte hanno mostrato che i giovani – e in particolar modo i bambini – sono molto meno colpiti dalla COVID-19, l'infezione causata dal patogeno, mentre gli uomini anziani con comorbilità (più patologie) rappresentano la categoria più a rischio.
Un nuovo studio basato sui dati provenienti da sei Paesi, ovvero Italia, Cina, Canada, Giappone, Singapore e Corea del Sud, mostra che i giovani non solo sono molto meno suscettibili all'infezione, ma manifestano la sintomatologia in misura sensibilmente inferiore. Grazie a un modello matematico, è emerso che chi ha un'età inferiore ai 20 anni ha una suscettibilità all'infezione ridotta del 50 percento rispetto ai più grandi, inoltre i sintomi clinici – come tosse, febbre e difficoltà respiratorie – si presentano solo nel 21 percento dei casi (tra 10 e 19 anni), contro il 69 percento della popolazione anziana, con età superiore ai 70 anni. Ciò significa che ben il 79 percento dei giovani positivi al coronavirus è asintomatico (da non confondere con i presintomatici e i paucisintomatici), rispetto al 69 percento della popolazione generale e al 21 percento di quella anziana.
A determinare queste percentuali è stato un team di ricerca britannico guidato da scienziati del Dipartimento di Epidemiologia delle Malattie Infettive presso la London School of Hygiene & Tropical Medicine, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Gruppo di lavoro CMMID COVID-19. Alla luce dei risultati, gli scienziati coordinati dai professori Nicholas Davies e Rosalind Eggo, suggeriscono che le misure di contenimento che coinvolgono i bambini, come ad esempio la chiusura delle scuole, “potrebbero avere un impatto relativamente piccolo sulla riduzione della trasmissione SARS-CoV-2, in particolare se la trasmissibilità delle infezioni subcliniche è bassa”. Al momento non è chiaro quanto sia efficace la trasmissibilità degli asintomatici rispetto a quella dei sintomatici.
Simulando la diffusione dell'epidemia di coronavirus in circa 150 capitali del mondo, gli scienziati britannici hanno determinato che la chiusura delle scuole avrebbe un impatto molto meno significativo rispetto alla stessa misura per altri virus respiratori. “Per infezioni come l'influenza abbiamo trovato che la chiusura delle scuole abbatte il picco dell'incidenza del 17-35 percento, garantendo un ritardo da 10 a 89 giorni. Per la COVID-19 l'incidenza scende al 10-19 percento, con un ritardo di 1-6 giorni”, hanno affermato gli autori dello studio. I risultati della ricerca “Age-dependent effects in the transmission and control of COVID-19 epidemics” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Medicine, e potrebbero avere un impatto sulle scelte relative alle riaperture delle scuole.