Test sugli animali, un dilemma che divide gli scienziati italiani
L’Italia sta per adottare la più stringente normativa sulle sperimentazioni animali in Europa. Nei prossimi giorni, il Senato potrebbe approvare una legge già passata alla Camera, e proposta due anni fa dall’allora ministro del turismo e notissima animalista, Michela Vittoria Brambilla, che proibirà l’allevamento su tutto il territorio nazionale di cani, gatti e primati destinati alla sperimentazione. La comunità scientifica si interroga su quali saranno le conseguenze di una normativa fortemente voluta dall’opinione pubblica ma che rischia di bloccare i trial di numerosi farmaci e mettere in ginocchio l’intera industria farmaceutica italiana.
Non chiamatela vivisezione
Sull’argomento è diffusissima la disinformazione. Si parla in generale di “vivisezione”, quando in realtà la pratica di sezionare animali ancora in vita non fa parte delle esigenze di chi utilizza gli animali per la sperimentazione farmaceutica. I test sugli animali, infatti, prevedono la somministrazione di composti chimici che dovranno poi essere immessi sul mercato; piuttosto che sperimentarne gli eventuali effetti collaterali direttamente sull’uomo, si preferisce ripiegare su altri tipi di mammiferi. E qui naturalmente emerge il dilemma etico. Soprattutto su tre tipologie di animali: cani, gatti e scimmie. Nei primi due casi, si tratta di animali domestici che convivono da sempre con gli esseri umani, e nei confronti dei quali non riusciamo a non provare affetto ed empatia; nel caso delle scimmie, da quando Darwin ha dimostrato che tutti i primati sono nostri cugini ci si è chiesti se sia davvero giusto impiegarli per le sperimentazioni, nonostante il fatto che il loro organismo sia quello più vicino al nostro, dimostrandosi quindi un ottimo “banco di prova” alternativo.
La nuova legge impedisce di usare queste tre tipologie di animali per i test, a meno che non siano necessari per l’approvazione di nuovi farmaci o siano mirati a migliorare la salute umana. Impone inoltre una serie di norme per regolarmente l’impiego di animali transgenici, e proibisce qualsiasi tipo di esperimento che non preveda l’anestesia. Norme civili, certo. Ma che mettono in difficoltà la comunità scientifica italiana. Intervistato da Nature, il professor Roberto Caminiti, fisiologo alla Sapienza di Roma e direttore della Commissione sull’uso degli animali per la ricerca della Federazione delle società europee di neuroscienza, osserva che il rischio è quello di far trasferire numerosi centri di sperimentazione all’estero, dove la normativa è meno rigorosa, con il rischio di aumentare i rischi per gli animali. Carminiti fa notare inoltre che in alcuni casi i test su animali senza anestesia sono necessari per la sperimentazione dei farmaci antidolorifici.
E secondo il senatore del PD Ignazio Marino, il rischio è che numerosi centri di ricerca sui farmaci in Italia siano costretti a chiudere. Le restrizioni sull’uso di animali transgenici potrebbe inoltre costringere alla chiusura una delle eccellenze mondiali in questo settore, l’European Mouse Mutant Archive, che svolge ricerche sui topi transgenici. È noto infatti che i topi sono gli animali più impiegati nella sperimentazione, e che spesso è necessario modificarne il codice genetico per facilitare o velocizzare i test medici. L’impiego di topi transgenici ha rappresentato un enorme passo avanti nella ricerca biochimica negli ultimi decenni.
Il dilemma etico della sperimentazione animale
Dall’altra parte ci sono le leghe antivivisezione e in generale i movimenti animalisti, sempre più attivi in Italia. L’idea che cani e gatti debbano essere allevati per vivere in un laboratorio ed essere sottoposti a continui test clinici è orribile. Secondo Michela Kuan, biologa e attivista, esistono altre possibilità di sperimentare nuovi farmaci senza impiegare animali domestici o primati, ma per adottarle è necessario costringere i centri di ricerca a cambiare passo attraverso la legge. Il dibattito al Senato non è facile. Da una parte c’è chi sostiene la necessità di abrogare la proposta di legge, e adottare la nuova normativa europea che pure pone norme stringenti, ma meno radicali; dall’altra c’è chi invece vorrebbe rafforzare il disegno di legge mettendo al bando le sperimentazioni tout court, quindi senza nemmeno tener conto delle eccezioni previste.
Negli ultimi decenni, la questione della sperimentazione animale sta calamitando sempre di più l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale. I dilemmi etici che i test sollevano non sono di facile soluzione. È facile convincersi delle ragioni degli animalisti di fronte alle foto che vengono fatte girare sui social network, e che mostrano animali morti all’interno di celle spoglie, attribuite a centri di ricerca; o alle storie di test crudeli per sperimentare dei semplici cosmetici. Alcune di queste storie nascondono un fondo di verità, soprattutto in paesi dove la normativa al riguardo è colpevolmente permissiva. Ma il fatto è che se ancora oggi si fa sperimentazione sui cani e sui gatti, nonché sulle scimmie, non è per pura crudeltà degli esseri umani, ma per mettere a disposizione dell’umanità medicinali nuovi e migliori. Prendiamo in considerazione un caso-limite: se si scoprisse un ritrovato per sconfiggere il cancro e lo si dovesse prima testare sugli animali, saremo ugualmente disposti a vietare la sperimentazione? Suggeriremmo di procedere direttamente sugli uomini, con il rischio di produrre effetti collaterali anche letali? E quante persone sarebbero disposti a testare un farmaco, magari miracoloso, ma non ancora testato su nessun essere vivente? La questione, dunque, è molto più problematica di quanto vorremmo.