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Covid 19

Terapia intensiva a rischio saturazione, esperto: “I posti occupati raddoppiano ogni 16 giorni”

Siamo entrati nella temuta seconda ondata della pandemia di coronavirus SARS-CoV-2, e i numeri di positivi, decessi e ricoverati in terapia intensiva continuano a salire inesorabilmente giorno dopo giorno. Per quanto concerne le terapie intensive, i posti occupati al momento sono oltre 800 e aumentano a un ritmo preoccupante, con lo spettro della saturazione all’orizzonte. Per un’analisi su questi dati abbiamo contattato il dottor Riccardo Spezia della Sorbonne Université di Parigi. Ecco cosa ci ha raccontato.
Intervista a Dott. Riccardo Spezia
Chimico-fisico del Laboratorio di Chimica Teorica presso la Sorbonne Université di Parigi
A cura di Andrea Centini
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Nel momento in cui stiamo scrivendo, sulla base dell'ultimo bollettino (20 ottobre) della Protezione Civile sull'emergenza coronavirus, in Italia a causa della diffusione del SARS-CoV-2 si registrano 10.874 positivi, 89 morti e 73 ricoverati in terapia intensiva in più rispetto al giorno precedente. Gli attualmente positivi sono oltre 140mila, fra i quali poco meno di 9mila ricoverati con sintomi nei reparti regolari (+778 rispetto al 19 ottobre), mentre 870 sono in quelli di terapia intensiva. Quest'ultimo dato è considerato uno dei più sensibili in assoluto nel monitoraggio dell'emergenza; la saturazione dei posti disponibili nelle ICU (Intensive Care Unit) va infatti assolutamente scongiurata, ed è (anche) per questo che si introducono misure sempre più stringenti quando si accende il campanello d'allarme. In un post su Facebook il dottor Riccardo Spezia, chimico-fisico del Laboratorio di Chimica Teorica presso la Sorbonne Université di Parigi ed esperto di cinetica delle reazioni chimiche, ha pubblicato un grafico nel quale si evidenzia che, in Italia, le terapie intensive si stanno riempiendo più velocemente che in Francia. Poiché si tratta di due Paesi con una popolazione simile, e considerando che in Francia attualmente si sta vivendo una seconda ondata peggiore della nostra (siamo indietro di un paio di settimane nella curva), abbiamo contattato lo scienziato per farci spiegare meglio i dati che ha pubblicato e cosa potrebbe attenderci nel prossimo futuro. Ecco cosa ci ha raccontato.

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Dottor Spezia, nel suo post sul social network ha indicato che i posti in terapia intensiva si occupano più rapidamente in Italia che in Francia, con tempi di raddoppio di circa 16 giorni per il nostro Paese e di 23 per i transalpini. Cosa ci dicono questi dati?

Quando i segnali si vedono in modo così eclatante significa purtroppo che è già un po' troppo tardi. I segnali già c'erano da un mese; in Francia da un paio di mesi. L'ottimismo a volte fa brutti scherzi. In Francia ci sono molte più persone ricoverate in terapia intensiva, ma la velocità con cui raddoppiano è più elevata in Italia. Questo considerando i dati degli ultimi due mesi. Anche durante la prima ondata in Francia ci sono state molte più persone ricoverate in terapia intensiva. In Francia, che ha più o meno la popolazione italiana, ci sono sempre state più persone in ospedale. Poi la definizione di terapia intensiva può variare da uno stato all’altro (qui per esempio non distinguono sempre la sub-intensiva), quindi il numero assoluto può dipendere dalle definizioni amministrative. Però anche a marzo sono sempre stati più numerosi in Francia sia i ricoveri ospedalieri in generale che quelli in terapia intensiva, pur con un numero di decessi leggermente inferiore. Quello che conta è quanto cresce il numero di persone ricoverate in terapia intensiva e soprattutto qual è il loro numero nel territorio.

Tenendo presente il raddoppio dei ricoveri in terapia intensiva in tempi così rapidi, all'orizzonte c'è un nuovo rischio di saturazione dei posti disponibili

Se i ricoveri impiegano due settimane per raddoppiare, si può fare un semplice calcolo, ovviamente con una certa incertezza. Ma serve per avere un’idea del fenomeno. Adesso in Italia ci sono 800 persone ricoverate in terapia intensiva, se le condizioni non cambiano questo significa che tra due settimane ce ne saranno circa 1600. Quindi diciamo che fra un mese potrebbero essercene 3200. Ora la situazione non sta interessando solo due regioni, come durante la prima ondata, ma tutto il territorio nazionale. A marzo hanno spostato i medici da altre regioni, e adesso naturalmente questo sarà più difficile, perché il numero di medici è limitato e più regioni sono interessate, in Italia come in Francia.

Cosa possiamo fare per scongiurare un tracollo?

Cosa poter fare ormai non è evidente. Diciamo che quello che si è fatto è stato poco. La velocità della curva rispetto a marzo è inferiore, anche perché il problema adesso è per tutte le regioni, e ci sono ovviamente delle misure che all'epoca non c'erano. Ma se io raddoppio ogni due settimane i posti occupati in terapia intensiva, arriverò sempre alla saturazione. Ci metterò magari due mesi anziché una settimana, però il risultato sarà sempre quello. Arriva una seconda onda di marea, più lenta, ma che rischia di arrivare alla stessa altezza, se le nuove misure introdotte non daranno i risultati sperati. Questo effetto si vedrà tra due, tre settimane. Ora siamo in una fase iniziale ed è difficile dire come andrà. Si poteva agire un mese fa o due mesi fa a seconda del caso. Questi segnali per una eventuale terza ondata dovranno essere visti prima. Fin quando non ci sarà una soluzione medica ci saranno ondate. Non è che si sfugge. Questa è la seconda ondata, ci potrebbe essere la terza ondata. La seconda ondata è più bassa perché abbiamo preso delle misure. Dobbiamo capire che quando questa diminuirà, non sparirà. E si può vedere con un po' di anticipo il ritorno del virus. Prima si vede e meglio si può contenere, ed evitare che la gente muoia.

Lei pensa che l'ultimo Dpcm sia troppo “morbido”, al netto di questi numeri?

Questo non lo so. Quello che so è che queste misure andavano prese uno, due mesi fa. Il punto è che le curve che vede sono in scala logaritmica. Noi umani non vediamo le cose così, le vediamo sulla scala normale, noi vediamo una curva che si impenna in maniera improvvisa. Quando è bassa tutti dicono “ah, ma è bassa”. Certo, però sta crescendo, all'inizio lentamente, poi quando mi accorgo che è cresciuta potrebbe essere già troppo tardi per certi interventi. È come un incendio. Quando c'è un incendio in un edificio, all'inizio non lo si vede, non si vede nemmeno il fumo, ma intanto si mangia l'ossigeno. Quando uno vede le fiamme è troppo tardi. Purtroppo noi interveniamo quando si vedono le fiamme. Oramai a Parigi le terapie intensive sono piene a circa il 40 percento, nelle zone intorno ancora di più perché ci sono meno letti in rapporto alla popolazione.

I segnali di questo “incendio” c'erano da diverse settimane, come ha spiegato, ma l'abbiamo lasciato propagare

In Italia sicuramente da meno tempo, ma in Francia almeno da fine agosto/primi di settembre. Avevo fatto delle prove col numero degli ospedalizzati; una ai primi di settembre indicava che ai primi di ottobre ci sarebbero stati circa 400 nuovi ingressi ogni giorno. E così è stato, ce n'erano tra 400 e 800. Alla fine i conti tornano. L'Istituto Pasteur di Parigi ha dato le stesse indicazioni al governo. Loro ovviamente hanno dati più dettagliati e fanno queste stime città per città. Il problema è che è difficile imporre misure alla popolazione quando qualcosa non la si vede già, autolimitarsi quando sembra che non ce ne sia motivo, imporre alla popolazione misure drastiche come vietare di andare in vacanza, al ristorante, in luoghi chiusi, di vedere altre persone. È impossibile dire cosa avrebbero potuto fare i governi. E sottolineo governi perché tra Francia, Spagna, Italia, Inghilterra, che hanno governi di colori differenti, alla fine della fiera hanno lo stesso risultato. Tranne pochissimi siamo più o meno tutti nelle stesse condizioni. Gli Stati nel mondo che sono riusciti a tenere le ondate sono tre, quattro, li contiamo sulle dita di una mano. La Cina – sempre se ci fidiamo di quello che dicono – il Giappone, la Corea del Sud e la Nuova Zelanda. Noi qui in Europa al massimo abbiamo come riferimento la Germania e qualche Paese del Nord, lì va un po' meglio che qui, ma la situazione non è così diversa. Le faccio un esempio. Il nostro medico di famiglia francese a fine giugno era distrutto per la primavera che aveva passato, così ha deciso di prendersi 2 mesi di vacanza, perché aveva previsto che il virus sarebbe tornato in autunno e in inverno. Un medico generalista, non un epidemiologo. Il virus non se ne va e un virus respiratorio con l'inverno peggiora. Non ci vuole un luminare. Era abbastanza logica la cosa. Sia le persone che i governi speravano che il virus non sarebbe tornato. Lo speravamo tutti, ma una cosa è sperare, altra è organizzarsi per lo scenario peggiore.

I freddi numeri suggeriscono che arriveremo a un nuovo lockdown, se non ci sarà un cambio di rotta

Il rischio si presenta quando si arriva alla saturazione delle terapie intensive, e questa volta purtroppo vedo il problema più nel Sud Italia, dove la situazione sanitaria non è sempre delle migliori. Riguardo ad un lockdown totale come in primavera spero e penso che non si farà. Adesso tutti quanti sappiamo qual è un'attività a rischio e più o meno come proteggerci. Ma metterlo in pratica necessita di cambiare quasi tutte le nostre abitudini. Il lockdown dava un “vantaggio”: se lo Stato mi obbliga a non uscire, mi dà la possibilità di non rompere le amicizie o non sembrare pazzo. Il lockdown fa tutto, ma è estremo. Ci sono delle cose che il lockdown non permetteva di fare, sia in sicurezza assoluta, come ad esempio passeggiare da soli, che in sicurezza parziale, come incontrare persone per un tempo limitato con le mascherine. Poi ovviamente c'è la questione economica. Per non parlare dell’istruzione. Qui in Francia per le scuole non hanno fatto quasi nulla. Certo dividere una classe di 30 alunni in due di 15, richiede più classi, più insegnanti, più soldi. Lo Stato non ha preso il rischio di spendere dei soldi, dato che se non ci fosse stata la seconda ondata tutti avrebbero puntato il dito contro. Governare in questo momento non è facile. Bisogna fare in modo che la popolazione faccia proprio un modo diverso di comportarsi. In Cina lo fanno perché chi fiata non fa una bella fine; in Corea del Sud sono tutti tracciati, non c'è un sistema dittatoriale come in Cina, ma c'è un controllo della privacy diverso anche attraverso le App. Nelle società occidentali è diverso. Una società non cambia in pochi mesi.

E cosa ne pensa del coprifuoco introdotto in Francia?

Questi andamenti mostrano che quando ce ne accorgiamo poi diventa difficile frenare. Io penso sempre che non esista “la misura”. O meglio, "la" misura è quella che si è fatta in primavera, perché il lockdown racchiude in sé tutte le misure. Per il cosiddetto coprifuoco in Francia – solo nelle grandi città – si è preso l'esempio della Guyana francese. Lì è stato fatto questa estate, per alcune settimane, ed effettivamente ha portato risultati. Ma la Guyana non è Parigi, non è Lione, Roma o Napoli, città occidentali densamente abitate dove tante persone prendono la metropolitana, si assembrano. Macron vorrebbe arrivare a dicembre con una bassa circolazione, 2 mila casi al giorno, contro i 20mila – 30mila di quando ha parlato. Questa misura basterà? Si sono dati tempo fino al primo di dicembre, e poi eventualmente interverranno (se non prima). Non uscire la sera, non andare al ristorante in inverno chiaramente potrebbe far frenare la curva, se si aggiungono altre misure che si stanno recependo come mettersi le mascherine. Ma se si sta tanto tempo in una stanza chiusa anche con le mascherine alla fine ci si contagia lo stesso. Purtroppo questa cosa non è passata. Un po' mi inalbero quando vedo i vostri colleghi televisivi che in luoghi chiusi non indossano la mascherina. Devono metterla, anche se il soffitto è alto e si è in quattro in posti enormi. Altrimenti passa il messaggio che si può fare e non è un buon esempio. E poi facciamoci una domanda: che cosa ne sarà del Natale. A gennaio c'è sempre un picco della mortalità. Perché le persone a Natale si incontrano, stanno dentro casa a giocare e a mangiare. Sarà come passare tra Scilla e Cariddi, ovvero tra un triste Natale e un tragico gennaio. Uno può anche non fare il lockdown, ma vanno convinte le persone a non fare pranzi e cene di Natale, con un impatto psicologico enorme che provoca altre condizioni.

Pensa che le due settimane di chiusura previste in alcuni Paesi possano essere utili?

Lo stanno facendo in Galles. A Marsiglia hanno chiuso per una settimana o due i bar e i ristoranti, e un po' di effetto lo ha avuto, si è visto. Ma queste misure hanno un costo e non sono facili da gestire. Un coprifuoco che non permette di andare al bar e al ristorante dalle 21 potrebbe dare un piccolo vantaggio per abbassare la curva del 20 percento, per far arrestare la propagazione e quindi poi a dicembre si dovrebbe poter vedere un effetto. Le terapie intensive sono la penultima cosa che si vede che si gonfia, i morti sono l'ultima; in sei settimane si dovrebbe poter vedere se la situazione migliora. Poi sarà importante tenere la situazione sotto controllo, se il coprifuoco funziona, come speriamo.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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