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Talco cancerogeno? Forse per i minatori che lo estraggono

Dagli Usa arriva l’ennesima sentenza anti-scientifica.
A cura di Juanne Pili
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La giuria del Tribunale di St. Louis (Missouri, non South Dakota, come pubblicano alcune agenzie italiane) ha stabilito che la Johnson & Johnson (J&J) dovrà risarcire cinquantacinque milioni di dollari a Gloria Ristesund, sessantenne, che avrebbe usato il suo talco per ben trentacinque anni prima che nel 2011 le venisse diagnosticato un cancro alle ovaie.

Il caso di Jackie Fox. Nel febbraio 2015 una sentenza di primo grado del Tribunale dell’Alabama condanna la J&J al risarcimento di settantadue milioni di dollari a Jackie Fox di sessantadue anni, a cui venne diagnosticato il cancro ovarico nel 2012. La sentenza è totalmente estranea ad ogni evidenza fin’ora accertata: secondo il Tribunale la J&J avrebbe dovuto conoscere i rischi per la salute che deriverebbero dal talco; non avendo avvisato i consumatori in maniera appropriata è stata ritenuta colpevole di frode, negligenza e associazione per delinquere.

Parlano i numeri. Fino all’anno scorso circa settecento donne hanno querelato la J&J per il loro tumore ovarico. Nel centro del mirino c'è sempre il suo talco. Già a livello statistico possiamo riscontrare qualcosa che non va. Una multinazionale come la J&J vende questo prodotto a milioni di americane, mentre il cancro alle ovaie è tra i tumori femminili più diffusi. Solo in Italia sono colpite circa 4.490 donne all’anno, ed è al nono posto tra le forme tumorali. Tra i principali fattori di rischio abbiamo l’ingresso in menopausa e le alterazioni genetiche. Ad oggi non esistono screening affidabili per la prevenzione del tumore ovarico, fa specie che la recente sentenza americana non ne abbia tenuto conto: se non ho sufficienti dati per capire come prevenire un fenomeno in generale, come faccio a stabilire con certezza un particolare nesso causa-effetto?

Metodo scientifico e diritto. Dobbiamo constatare che ancora oggi il metodo scientifico non trova piena espressione in ambito giuridico, dove i dati empirici sembrano a volte venir messi sullo stesso piano di quelli aneddotici. In Italia, dove vige una forma di Diritto derivata da quello romano, ne sappiamo già qualcosa; pensiamo alle recenti sentenze sui vaccini nonostante sia scientificamente appurato che non possono causare autismo. Figuriamoci cosa può succedere in un paese come gli Usa dove vige la Common law, i giudici sono eletti e le giurie popolari hanno un ruolo molto più attivo. Insomma, l’opinione pubblica esercita in questo genere di sentenze una pressione difficile da ignorare, basti pensare che in Italia anche quando si parla di sentenze americane vengono nominati i "giudici", mentre la stampa americana fa riferimento alle "giurie".

Gli studi recenti assolvono il talco. Nel 2006 la Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) pubblica uno studio volto a verificare l’eventuale nesso causa-effetto tra l’utilizzo di talco e l’insorgenza di tumori alle ovaie. I risultati sono stati negativi, tenuto conto anche delle eventuali impurità presenti prima del 1976. Uno studio del 2008 volto a verificare eventuali effetti del talco nelle alterazioni genetiche responsabili del tumore (geni GSTM1, GSTT1 e NAT2) conclude che per quanto sia ragionevole sospettare un collegamento, le cause non sono state stabilite in maniera chiara. Uno studio del 2010 mette in evidenza come l’ingresso nella menopausa si registri spesso in correlazione coi presunti casi di tumore imputati al talco. Certamente è vero che questa sostanza è stata inserita tra quelle potenzialmente cancerogene dalla Iarc: la fallacia interpretativa ricorda l’allarmismo sulla carne rossa cancerogena, infatti si tende a omettere che l’Ente si riferisce non meramente all’igiene intima, bensì a situazioni in cui questo minerale viene estratto dai minatori per le fabbriche della gomma.

Logica vs emozioni. Anche se settecento persone sostenessero di aver vissuto episodi spiacevoli passando sotto una scala, questo non vorrebbe dire niente. Solo che situazioni simili non susciterebbero lo stesso impatto emotivo di settecento donne affette da tumore ovarico.

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