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Svelato il mistero delle polinie, colossali buchi nel ghiaccio che si formano in Antartide

Incrociando i dati di numerosi strumenti, compresi quelli raccolti da sensori piazzati sulla testa degli elefanti marini, ricercatori americani hanno svelato il mistero delle polinie, immensi buchi che si formano nel ghiaccio del Mare di Weddell, in Antartide. Sono causati da peculiari condizioni di salinità dell’acqua e da violentissime tempeste.
A cura di Andrea Centini
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Credit: NASA Worldview / NASA Blue Marble
Credit: NASA Worldview / NASA Blue Marble

Le misteriose polinie, giganteschi buchi che si formano occasionalmente nel ghiaccio del Mare di Weddell in Antartide, sono causati da un mix di fenomeni legati alla salinità dell'acqua marina e alla presenza di violentissime tempeste in grado di mescolarla. Solo in presenza di tutti i fattori si determina la formazione di una polinia, dal termine russo polyn'ja che significa proprio “buco nel ghiaccio”. A descrivere nel dettaglio i meccanismi alla base di questo affascinante fenomeno è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università di Washington, che hanno collaborato con i colleghi del Dipartimento di Fisica dell'Università di Toronto (Canada), dell'Università della California di San Diego e dell'Università della Carolina del Sud.

La ricerca. Gli scienziati, coordinati dal dottor Ethan C. Campbell del Dipartimento di Oceanografia dell'ateneo di Seattle, sono riusciti a far luce sul fenomeno delle polinie incrociando le informazioni raccolte sul campo con vari strumenti e tecniche. Fra essi vi sono le immagini satellitari; i dati su salinità, temperature e correnti rilevati dai sensori galleggianti della missione Southern Ocean Carbon and Climate Observations and Modelling (SOCCOM); e i rilievi degli strumenti Argos Systems installati sulla testa degli elefanti marini, “ingaggiati” dagli scienziati per oltre un decennio. Poiché le polinie si formano solo in determinate circostanze, la fortunata “nascita” di un gigantesco buco di 33mila chilometri quadrati nel 2016 e di uno da 50mila chilometri quadrati nel 2017 hanno permesso di unire tutti i tasselli del puzzle.

Credit: Dan Costa / Università della California, Santa Cruz
Credit: Dan Costa / Università della California, Santa Cruz

Rimescolamento. Quando sull'Oceano Australe si formano tempeste violentissime – con raffiche paragonabili a quelle degli uragani -, i venti che raggiungono l'Antartide determinano un intenso rimescolamento delle acque superficiali del Mare di Weddell orientale. A causa di questo processo, le correnti generano vortici rotanti di densa acqua marina sopra una montagna sottomarina chiamata Maud Rise. Se l'acqua coinvolta nel "rimescolamento" è particolarmente salata si determina una vera e propria circolazione capovolta, con l'acqua più calda e salata delle profondità che viene spinta verso l'alto, raffreddata dal contatto con l'aria e portata quindi a sprofondare, un meccanismo che impedisce di fatto la formazione del ghiaccio e dunque catalizza la nascita delle polinie.

Cambiamenti climatici. Benché occasionali, le polinie giocano un ruolo importante nell'ecosistema antartico, dato che permettono la respirazione ai cetacei, ai delfini e ai pinnipedi che si inoltrano sotto il ghiaccio del Mare di Weddell. Le più grandi rilevate negli anni '70 avevano l'estensione dell'intera Nuova Zelanda. Secondo gli scienziati, il processo alla base della formazione delle polinie potrebbe avere un impatto significativo anche sotto il profilo dei cambiamenti climatici. Il rimescolamento delle acque, infatti, potrebbe portare in superficie enormi quantità di carbonio proveniente dagli animali morti nel corso dei secoli; tale processo, se ripetuto nel tempo, potrebbe influenzare l'aumento delle temperature medie. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature.

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