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Covid 19

Studio rivela qual è il numero reale degli asintomatici contagiati dal coronavirus

Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati americani dell’Università di Yale ha determinato che il numero reale di asintomatici contagiati dal coronavirus si attesta attorno al 35 percento. Ciò significa che un infettato su tre non manifesta sintomi e non li manifesterà nemmeno nei giorni successivi al test, dato che l’indagine ha tenuto conto dei cosiddetti “presintomatici”.
A cura di Andrea Centini
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Nel momento in cui stiamo scrivendo, in base alla mappa interattiva messa a punto dall'Università Johns Hopkins, dall'inizio della pandemia nel mondo si contano oltre 207 milioni di casi di contagio da coronavirus SARS-CoV-2 e quasi 4,4 milioni di morti (in Italia si registrano 4,4 milioni di contagi e 128mila vittime). Sia il numero delle infezioni che quello dei decessi secondo molti esperti sono un'ampia sottostima dei casi reali, per molteplici ragioni. Per quel che concerne i contagi, a pesare molto sulla statistica vi sarebbe il numero degli asintomatici, cioè di coloro che pur contraendo il patogeno non sviluppano alcun sintomo, che non vanno confusi con i presintomatici, cioè coloro che si trovano nella fase di incubazione (l'intervallo di tempo tra contatto col virus ed emersione dei sintomi). Determinare quale sia l'esatta percentuale di asintomatici dell'infezione che ha messo in ginocchio il mondo intero è assai complesso, non a caso le indagini hanno ottenuto risultati molto contrastanti, passando dal 4 percento della ricerca cinese “Follow-up of asymptomatic patients with SARS-CoV-2 infection” ad addirittura l'81 percento dell'indagine australiana “COVID-19: in the footsteps of Ernest Shackleton”. Ora, il nuovo e più approfondito studio sul tema ha determinato che l'esatta percentuale di (veri) asintomatici dovrebbe attestarsi attorno al 35 percento, cioè più di un terzo.

A condurre l'indagine è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati americani della Scuola di Salute Pubblica della prestigiosa Università di Yale, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Centro per lo sviluppo dei vaccini e la salute globale della Scuola di Medicina dell'Università del Maryland, dell'Agent-Based Modelling Laboratory dell'Università di York (Canada) e dell'Emerging Pathogens Institute dell'Università della Florida. I ricercatori, coordinati dalla professoressa Pratha Sah, ricercatrice presso il Center for Infectious Disease Modeling and Analysis dell'ateneo di New Haven, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver condotto una revisione sistematica e una meta-analisi su oltre 350 articoli dedicati agli esiti delle infezioni da coronavirus SARS-CoV-2. Come specificato è molto complesso determinare se un caso è effettivamente asintomatico o presintomatico: innanzitutto, le persone positive ma perfettamente sane potrebbero semplicemente non sottoporsi ai test di screening e sfuggire alla statistica, pur potendo diffondere il virus nella comunità; in secondo luogo, in base al periodo di follow-up preso in esame, le persone che in un dato momento risultano positive e asintomatiche potrebbero sviluppare i sintomi pochi giorni dopo. In pratica, saremmo innanzi a presintomatici e non a veri asintomatici.

Per “aggirare” questi ostacoli, la professoressa Sah e i colleghi hanno tenuto conto soltanto degli studi con un periodo di follow-up in grado di escludere qualunque comparsa di sintomi giorni dopo la positività al tampone oro-rinofaringeo, così come quelli che dopo la positività si accertavano sistematicamente della comparsa o meno dei sintomi nei giorni successi. In base al modello utilizzato, le infezioni da coronavirus SARS-CoV-2 effettivamente asintomatiche sono risultate essere il 35,1 percento o il 36,9 percento, dunque circa un caso su tre sarebbe asintomatico. “Abbiamo trovato prove di una maggiore asintomaticità nei bambini rispetto agli anziani e di una minore asintomaticità tra i casi con comorbilità rispetto ai casi senza condizioni mediche di base. Una maggiore asintomaticità in età più giovane suggerisce che è necessaria una maggiore vigilanza tra questi individui”, hanno spiegato gli autori dello studio. Poiché le persone effettivamente asintomatiche sono moltissime e sono in grado di trasmettere il virus anche agli altri, potenzialmente anche da vaccinate, secondo gli esperti per contenere la pandemia è fondamentale migliorare gli screening e il tracciamento dei contatti rapido. I dettagli della ricerca “Asymptomatic SARS-CoV-2 infection: A systematic review and meta-analysis” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica PNAS.

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