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Stop sperimentazione animale grazie a italiani: l’obesità si studia sull`uomo

Un team di ricerca italiano ha messo a punto un “bioreattore” con tessuti umani ingegnerizzati che permette di studiare gli effetti dell’obesità. L’innovativo approccio aggira la necessità di ricorrere alla sperimentazione animale.
A cura di Andrea Centini
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Grazie a tessuti ingegnerizzati e coltivati in vitro è possibile fare ricerca sulle malattie metaboliche legate all'obesità, mettendo la parole fine a torture e crudeli esperimenti cui vengono sottoposti gli animali da laboratorio. Il merito di questa innovativa procedura è di una equipe di studiosi italiani del Centro di Ricerca Enrico Piaggio dell'Università di Pisa, che l'ha sviluppata in collaborazione con i colleghi dell'Università di Padova e dell'Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Pisa.

Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Arti Ahluwalia, direttrice dell'autorevole istituto pisano, ritengono che questa sia la strada più giusta e saggia poiché l'obesità e il sovrappeso sono condizioni prettamente umane. Per quanto infatti si possano replicare nelle cavie – ingozzandole con cibi ipercalorici o con sonde che spingono il cibo direttamente nel loro stomaco – ciò che si ottiene non sarà mai paragonabile alla reazione dei tessuti umani. Va inoltre considerato che raramente gli animali in natura mangiano più del necessario, di conseguenza le patologie metaboliche legate all'accumulo di grasso sono ancor più circoscritte alla nostra specie. Senza contare che topi e ratti, le cavie da laboratorio per eccellenza, hanno anatomia, fisiologia e alimentazione diverse da quelle umane.

Ma come funzionano esattamente questi tessuti in vitro? Ahluwalia e colleghi hanno “coltivato” strati di cellule di tre tipi differenti di tessuto umano, ovvero epatico, vascolare e adiposo, e li hanno messi in comunicazione fra loro attraverso piccoli canali chiamati “microfluidici”. Si tratta a tutti gli effetti di bioreattori che simulano ciò che avviene realmente nel nostro organismo, e nel caso specifico gli scienziati hanno voluto osservare la loro reazione all'accumulo di grasso. Dalle analisi è emerso che i danni ai tessuti – di tipo vascolare e infiammatorio – sono direttamente proporzionali alla quantità di grasso accumulato; ciò può aiutare gli scienziati a comprendere i meccanismi cellulari che scatenano l'insorgenza delle patologie metaboliche nei pazienti con problemi di peso.

È stata la stessa professoressa Ahluwalia a sottolineare che grazie a un simile approccio ne beneficiamo noi e gli animali: “non è una scelta dettata dall'ideologia – ha sottolineato la ricercatrice – ma dall'evidenza sperimentale e dal progresso scientifico, che ci dicono che questa è una strada migliore per avere modelli sempre più precisi dei sistemi biologici, migliorando quindi al contempo le condizioni dell'uomo e degli animali, e approfondendo le nostre conoscenze su come funziona il nostro corpo”. I dettagli della ricerca, che ha ricevuto il plauso della LAV, la Lega italiana antivivisezione, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica PloS ONE.

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