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Spazzatura spaziale ‘differenziata’: il laser che protegge gli astronauti dalle collisioni

Il MIT ha messo a punto un laser in grado di ‘capire’ di che materiale sono fatti i detriti spaziali, permettendo di calcolarne con maggior efficacia diversi parametri fisici ma soprattutto il rischio di collisione con i velivoli che orbitano attorno alla Terra.
A cura di Andrea Centini
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Ricercatori del prestigioso Massachusetts Institute of Techonology (MIT) hanno messo a punto una tecnologia laser in grado di rilevare il materiale di cui sono fatti i detriti spaziali che orbitano attorno alla Terra. Si tratta di un'informazione chiave che permetterà di tutelare equipaggi e velivoli in transito sulla volta celeste, dato che il rischio di infauste collisioni continua ad aumentare anno dopo anno.

Quello della ‘spazzatura spaziale' rappresenta uno dei problemi più impellenti per le agenzie preposte, a causa del numero spropositato di satelliti e sonde che continuano ad essere lanciati. Per rendersi conto delle dimensioni del traffico, basti pensare che soltanto negli ultimi giorni SpaceX ha mandato in orbita altri 11 satelliti, mentre a febbraio un razzo indiano – il PSLV-C37 – ne ha sganciati ben 104 in un colpo solo. Sono tutti dispositivi che un giorno, terminato il proprio ciclo vitale, potrebbero andarsi ad accumulare al resto della spazzatura celeste, composta principalmente proprio da frammenti di satelliti e intere sonde in disuso.

Conoscere il materiale di cui sono fatti i detriti permette di calcolarne con maggior efficacia fattori come la traiettoria e la massa, oltre che il rischio di intercettare un'orbita ‘sensibile', come ad esempio quella occupata dalla Stazione Spaziale Internazionale. Per ottenere questa informazione, il team americano guidato Michael Pasqual ha sviluppato una tecnica chiamata ‘polarimetria', che sfruttando il puntamento laser dei ladar (radar laser) riesce a determinare la tipologia di materiale attraverso l'analisi della polarizzazione della luce, che viene riflessa in modo specifico da ciascuna superficie. I ricercatori hanno fatto esperimenti con teflon, titanio, varie tipologie di vernici, alluminio e altri materiali, ovvero tutti quelli più comunemente utilizzati per costruire i satelliti.

La NASA sta già monitorando 17mila di questi detriti, che viaggiano all'incredibile velocità di circa 30mila chilometri l'ora (basta infatti un minuscolo frammento per fare danni enormi); applicando i filtri sviluppati dal MIT a strumenti già in uso si potrà accedere a preziose informazioni supplementari in grado di prevenire futuri disastri. Se gli americani stanno puntando alle previsioni e ai calcoli, i ricercatori dell'Università di Tolosa in collaborazione con l'ESA stanno invece pensando all'azione diretta, con l'idea di costruire rimorchiatori in grado di agganciare magneticamente i detriti e di ‘spostarli' dall'orbita a rischio.

[Illustrazione di MIT]

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