video suggerito
video suggerito
Covid 19

L’ivermectina non funziona contro la Covid-19: smontato lo studio che ne esaltava l’efficacia

Tra i farmaci considerati più promettenti contro la COVID-19 all’inizio della pandemia vi era l’ivermectina, un antiparassitario la cui inefficacia è stata evidenziata da diversi studi. Ciò nonostante, una grande ricerca condotta in Egitto che ne esaltava le proprietà anti Covid ha continuato ad alimentare il “mito” del farmaco. Ora, dopo 7 mesi, lo studio è stato ritirato, a seguito dell’indagine di uno studente di Medicina che ne ha messo in luce tutte le mancanze.
A cura di Andrea Centini
329 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

Quando un nuovo patogeno inizia a diffondersi provocando una malattia sconosciuta, esattamente come avvenuto con lo scoppio della pandemia di COVID-19 causata dal coronavirus SARS-CoV-2, medici e scienziati iniziano a testare farmaci e molecole già disponibili per altre patologie per provare a curare i pazienti. Questo processo, nell'ultimo anno e mezzo, ha fatto balzare agli onori della cronaca internazionale diversi medicinali, dall'antimalarico idrossiclorochina al corticosteroide desametasone, che hanno avuto fortune decisamente opposte. Il primo, da ancora di salvezza, dopo molteplici studi e fiumi di polemiche è finito (quasi) nel “dimenticatoio” poiché considerato inefficace; il secondo oggi è invece ritenuto uno dei farmaci più efficaci nell'abbattere la mortalità (del 30 percento) dei pazienti, nonostante all'inizio della pandemia gli steroidei non fossero consigliati. In mezzo a questi estremi ci sono moltissimi farmaci che vengono ancora testati, raccogliendo consensi (o meno) anche sulla base di ideologie politiche. Fra quelli considerati più promettenti agli albori della ricerca anti Covid vi era l'ivermectina, un antiparassitario/antielmintico – usato soprattutto in veterinaria – che in test di laboratorio ha dimostrato di uccidere il coronavirus SARS-CoV-2 in sole 48 ore.

Questa ricerca condotta dall'Università Monash e altri studi analoghi hanno portato alla ribalta il farmaco, che molte persone hanno addirittura iniziato ad auto-somministrarsi per prevenzione o trattamento anti Covid, finendo in ospedale per avvelenamento a causa delle “dosi da cavallo”. L'entusiasmo iniziale sull'ivermectina è stato tuttavia smontato da altre indagini, come quella condotta da scienziati colombiani del Centro de Estudios en Infectología Pediátrica di Cali, nella quale è stato dimostrato che non riduce la durata dei sintomi nei pazienti con la forma lieve dell'infezione. La ricerca “Ivermectin for the treatment of COVID-19: A systematic review and meta-analysis of randomized controlled trials” ha invece concluso che l'ivermectina non riduce la mortalità per tutte le cause, la durata della degenza o la clearance virale nei pazienti Covid. A marzo del 2021 l'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha persino deciso di non raccomandare l'uso dell'ivermectina per trattare i pazienti Covid al di fuori degli studi clinici. Per molti, tuttavia, il farmaco ha continuato (e continua tuttora) a rappresentare un'arma efficace contro il patogeno pandemico per via dei risultati dello studio “Efficacy and safety of Ivermectin for treatment and prophylaxis of COVID-19 pandemic” pubblicato in pre-print su Research Square alla fine del 2020 e ora ritirato.

Il dottor Ahmed Elgazzar dell'Università di Benha in Egitto e i colleghi “dimostrarono” che i pazienti Covid trattati in ospedale con ivermectina non solo recuperavano velocemente dall'infezione, ma presentavano un tasso di mortalità abbattuto del 90 percento rispetto agli altri, curati solo con le terapie standard. Insomma, una vera e propria manna dal cielo, a maggior ragione se si pensa che lo studio era randomizzato e controllato (il “gold standard” della ricerca scientifica) e con un vasto campione di pazienti coinvolti. Questa indagine è stata coinvolta anche in diverse meta-analisi (che in pratica analizzano i risultati di più studi), alimentando ulteriormente la fama dell'ivermectina come farmaco salvavita. Nonostante le eccezionali premesse, lo studio è finito nel mirino di altri ricercatori che ne hanno messo in evidenza la natura quantomeno controversa, a causa di operazioni di copia e incolla e una pletora di errori, alcuni dei quali palesemente manipolati per esaltare l'efficacia dell'antiparassitario.

Tra chi ha fatto piena luce sugli evidenti limiti dello studio di Elgazzar vi è uno studente di Medicina britannico, Jack Lawrence, che lo ha analizzato a fondo per la sua laurea. Il giovane ha rilevato che intere porzioni della ricerca erano un plagio di altri articoli dedicati all'ivermectina e alla COVID-19, "nascosto" con la sostituzione strategica delle parole chiavi con sinonimi, talvolta senza senso. Come dichiarato al Guardian, lo studente ha rilevato come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS), sia stata goffamente cambiata in "sindrome respiratoria estremamente intensa". Ma al di là del copia e incolla e dei sinonimi a caso, a far crollare le fondamenta dello studio egiziano sono stati la qualità dei dati grezzi e gli innumerevoli errori che caratterizzano l'analisi. Si passa da problemi nella formattazione delle celle del foglio di calcolo alla confusione sulle date, passando per dati clonati e volutamente manipolati per apparire "naturali", problemi nella randomizzazione, statistiche inesatte, conflitti nella distribuzione delle età e molto altro ancora. Per fare qualche esempio pratico, viene ad esempio indicato che tutti i pazienti coinvolti avevano tra i 18 e gli 80 anni, ma dai dati grezzi in tre ne avevano meno di 18; in un altro caso viene indicato che lo studio è stato condotto tra l'8 giugno e il 20 settembre del 2020, ma uno dei pazienti risultava deceduto prima dell'avvio dello stesso; e ancora, i morti nel gruppo ivermectina risultavano due nelle dichiarazioni degli autori e quattro nei dati grezzi; mentre ben 79 set di dati relativi ai pazienti sono stati deliberatamente clonati per esaltare l'efficacia del farmaco. In questo articolo sono riportate tutte le mancanze dello studio.

Lo studente di Medicina con l'aiuto di altri due esperti, i dottori Gideon Meyerowitz-Katz e Nick Brown, ha messo in evidenza tutto questo e ha provato a chiedere spiegazioni al dottor Elgazzar, che tuttavia non ha risposto (compresa la sua università). Il problema più grosso è che questa ricerca, nonostante le grossolane mancanze, è passata per mesi sotto gli occhi di diversi scienziati e autorità regolatorie, che ne hanno continuato a divulgare i risultati alimentando il “mito” dell'ivermectina e la percezione di farmaco efficace, nonostante le conclusioni (decisamente deludenti) delle altre ricerche. Come indicato, il preprint è stato appena ritirato da Research Square per "preoccupazioni etiche", senza fornire spiegazioni.

329 CONDIVISIONI
32831 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views