Siberia in fiamme per le temperature impazzite, sta bruciando un’area più grande della Campania
A causa della persistenza di temperature insolitamente elevate, in Siberia si stanno registrando incendi senza precedenti, addirittura più devastanti di quelli record riscontrati lo scorso anno. In questo momento, infatti, gli immensi roghi stanno mandando in fumo un'area di ben 3,4 milioni di acri, pari a oltre 14mila chilometri quadrati. Per fare un confronto, complessivamente sta bruciando un'area estesa quasi quanto la Calabria, oppure poco più grande della Campania o del Trentino-Alto-Adige. Ad essere particolarmente colpita è la porzione artica della Siberia; nell'Artico, del resto, il riscaldamento registrato dagli scienziati è sensibilmente superiore a quello che si sta verificando nel resto del mondo, con un impatto catastrofico sugli equilibri ecologici e la biodiversità di questo delicatissimo ambiente.
A monitorare e quantificare gli incendi siberiani sono stati i ricercatori del servizio Copernicus Climate Change (C3S) del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF), una delle componenti del Programma Copernicus gestito dalla Commissione Europea e dall'Agenzia Spaziale Europea (ESA). Grazie agli “occhi” e ai sensori dei satelliti Sentinel, i ricercatori non solo hanno un quadro dell'estensione di questi fenomeni, ma anche di quanto impattano sulla qualità dell'aria e sul riscaldamento globale, innescato dai cambiamenti climatici. È stato stimato che solo a giugno 2020 sono stati immessi in atmosfera 59 milioni di tonnellate di anidride carbonica, contro le 53 di giugno 2019. La CO2 rappresenta il principale dei gas a effetto serra, pertanto gli incendi, oltre a rappresentare una delle conseguenze dell'aumento delle temperature, lo catalizzano a loro volta, in un circolo vizioso che avrà effetti catastrofici nel giro di pochi decenni. Questo processo è ulteriormente accelerato dallo scioglimento di ghiaccio marino, che riduce la quota di raggi solari riflessi (a causa di una riduzione dell'albedo) e aumenta quella di raggi assorbiti, che a loro volta aumentare le temperature di oceani e terre emerse.
Per rendersi conto di quanto è drammatica la situazione in Siberia, è sufficiente sapere che se nel mondo, a giugno 2020, è stato osservato un aumento di 0,53° C rispetto alla media dei mesi di giugno tra il 1981 e il 2010, per la porzione artica del territorio siberiano questo aumento è stato di ben 10° C. In alcuni casi l'incremento è stato scioccante. Sabato 20 giugno, ad esempio, nella città di Verchojansk sita a 67.55° di latitudine Nord oltre il Circolo Polare Artico, è stata toccata la sorprendente temperatura di 38° C, ben 18° C superiore rispetto alla media del periodo. A rendere ancor più impressionante il dato, il fatto che Verchojansk è considerata una delle città più fredde del mondo, dove in inverno si toccano temperature estreme anche di – 60° C.
Le temperature anomale sciolgono il ghiaccio marino Artico e quello della tundra siberiana, facendo seccare la vegetazione e favorendo di conseguenza gli incendi. La stagione dei roghi in Siberia inizia normalmente a maggio, ma i fenomeni di questi ultimi anni sono assolutamente sproporzionati rispetto alla norma. Ciò, naturalmente, è fonte di grande preoccupazione per gli scienziati, come sottolineato dal direttore del Copernicus Climate Change Service (C3S) dell'ECMWF, Carlo Buontempo: “Trovare ciò che ha causato queste temperature record non è semplice in quanto vi sono molti fattori che contribuiscono, interagendo tra loro. La Siberia e il Circolo Polare Artico in generale hanno grandi fluttuazioni di anno in anno, e in passato hanno già sperimentato altri mesi di giugno relativamente caldi. Ciò che è preoccupante è che l'Artico si sta riscaldando più velocemente del resto del mondo. La Siberia occidentale sta sperimentando temperature più calde della media così a lungo durante l'inverno, e la primavera è insolita. Le temperature eccezionalmente alte nella Siberia artica che si sono verificate a giugno 2020 sono ugualmente motivo di preoccupazione”. Se questi fenomeni continueranno a ripetersi con questi ritmi e record, gli ecosistemi dell'Artico potrebbero essere totalmente stravolti nel giro di pochi decenni, determinando la scomparsa di specie iconiche come l'orso polare.