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Scoperti pesci che vivono in acque ‘mortali’: per gli scienziati è un mistero

Nelle profondità del Golfo della California, in una zona considerata letale a causa della scarsissima concentrazione di ossigeno, sono state scoperte grandi colonie di pesci abissali. Gli scienziati, che li hanno individuati con un sottomarino controllato da remoto, non sanno come fanno a sopravvivere.
A cura di Andrea Centini
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Diverse specie di pesci riescono a sopravvivere – e a prosperare – in acque marine praticamente prive di ossigeno, dove sino a poco tempo fa si riteneva che non avrebbero avuto scampo. È l'incredibile scoperta fatta da un team di ricerca compo sto da studiosi del Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI) e dello Scripps Institution of Oceanography dell'Università della California di San Diego. Gli scienziati, coordinati dal professor Jim Barry, li hanno individuati nelle profondità del Golfo del Messico in un'area così povera di ossigeno da essere appunto ritenuta incompatibile con la vita, perlomeno con quella complessa.

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La scoperta. Jim Barry e i colleghi nel marzo del 2015 stavano esplorando gli abissi con un sottomarino controllato da remoto (un ROV), quando all'improvviso si sono imbattuti in banchi con centinaia di pesci. “Non potevo credere ai miei occhi”, ha sottolineato la biologa e oceanografa Natalya Gallo dell'istituto californiano. Oggi, a quasi 4 anni di distanza da quel primo, incredibile incontro, sono stati pubblicati i dati sulle specie avvistate e sulle caratteristiche di quell'ambiente estremo. In base alle rilevazioni c'erano concentrazioni di ossigeno comprese tra un decimo e un quarantesimo di quelle considerate ai limiti della sopravvivenza di alcuni pesci altamente specializzati, in grado di tollerare una condizione così estrema per il metabolismo.

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Pesci ossei e squali. Tra le specie maggiormente rappresentate vi erano il gattuccio lecca-lecca (Cephalurus cephalus), uno piccolo squalo simile a un girino, con corpo cilindrico sottile e grande testa; e la brotula nera (Cherublemma emmelas), un'anguilla che vive tra i 100 e i 740 metri di profondità nell'Oceano Pacifico. In numero inferiore sono stati osservati esemplari di Nezumia liolepis e della curiosa rana pescatrice Dibranchus spinosus, che secondo Barry e colleghi preferivano tuttavia ambienti più ossigenati. “Abbiamo osservato anguille, pesci granatiere e gattucci lecca-lecca che nuotavano attivamente nelle aree in cui la concentrazione di ossigeno era inferiore all'uno per cento delle concentrazioni tipiche dell'ossigeno superficiale”, ha sottolineato la Gallo.

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Un mistero per la scienza. Secondo gli scienziati queste floride comunità sfidano la nostra comprensione dei limiti alla tolleranza all'ipossia, cioè alla carenza di ossigeno. È possibile che questi pesci abbiano sviluppato branchie allargate in grado di catturare la minima concentrazione di ossigeno nell'acqua, inoltre potrebbero avere scarse necessità metaboliche a causa dei loro corpi schiacciati, ma per gli autori dello studio è un mistero, dato che ancora non sono ancora in grado di spiegare questo incredibile adattamento. A causa dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento che continuano a espandere le cosiddette ‘zone morte‘ si stima che moltissimi pesci saranno destinati a morire o a migrare; non tutti, infatti, hanno la straordinaria capacità rilevata nelle specie trovante sul fondo del Golfo della California. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Ecology.

[Credit: MBARI]

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