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Covid 19

Ritirato lo studio sul fumo “protettivo” contro la Covid: era legato all’industria del tabacco

Uno studio pubblicato lo scorso anno aveva rilevato potenziali benefici del fumo contro il rischio di contagiarsi col coronavirus SARS-CoV-2 e contro lo sviluppo della forma grave in caso di infezione. La ricerca è stata ritirata dalla rivista scientifica European Respiratory Journal poiché l’editore ha scoperto un conflitto di interesse di due autori con l’industria del tabacco.
A cura di Andrea Centini
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A luglio dello scorso anno lo studio “Characteristics and risk factors for COVID-19 diagnosis and adverse outcomes in Mexico: an analysis of 89,756 laboratory–confirmed COVID-19 cases” pubblicato sulla rivista scientifica European Respiratory Journal balzò agli onori della cronaca internazionale per i suoi risultati controintuitivi. La ricerca, condotta da scienziati greci e spagnoli, giunse infatti alla conclusione che i fumatori avrebbero avuto un rischio inferiore di contrarre l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2 , inoltre, in caso di contagio, sarebbe stato minore anche il rischio di sviluppare una forma grave della COVID-19. In altri termini, il vizio del fumo avrebbe in qualche modo offerto un potenziale "scudo protettivo" dalla COVID-19, pur essendo uno dei principali nemici per la nostra salute (solo in Italia il cancro ai polmoni uccide 80 persone al giorno). Ora il controverso studio è stato ritirato dalla suddetta rivista scientifica poiché si è scoperto che due degli autori avevano un conflitto d'interesse con l'industria del tabacco.

Nell'articolo gli scienziati Theodoros V. Giannouchos, Roberto A Sussman, José M Mier, Konstantinos Poulas e Konstantinos Farsalinos analizzarono statisticamente i dati di circa 90mila casi confermati di COVID-19 in Messico, determinando che i fumatori (attivi) avevano il 23 percento delle probabilità in meno di contrarre l'infezione. “Fra tutti i pazienti con COVID-19, il 34,8 percento è stato ricoverato in ospedale e il 13,0 percento ha avuto un esito avverso. Sesso maschile, età avanzata, una o più comorbilità e malattia renale cronica, diabete, obesità, BPCO, immunosoppressione e ipertensione sono stati associati al ricovero in ospedale e all'esito avverso. Il vizio del fumo non era associato a un esito avverso”, si leggeva nell'articolo originale. Un altro studio francese pubblicato poche settimane prima e guidato da scienziati dell'Istituto Pasteur di Parigi era giunto a conclusioni analoghe, osservando meno casi e meno esiti gravi per COVID-19 tra i pazienti fumatori, verosimilmente "grazie" alla nicotina.

Quando lo studio greco-spagnolo fu pubblicato in “early view” sull'European Respiratory Journal, gli autori affermarono di non avere conflitti di interesse con l'industria del tabacco, un dettaglio poi emerso dalle indagini condotte dall'editore e della redazione. Come specificato nel comunicato stampa della rivista scientifica a sostegno del ritiro, è stato scoperto che il dottor José M. Mier all'epoca del lavoro “aveva un ruolo costante nel fornire consulenza all'industria del tabacco sulla riduzione del danno da tabacco”. Un altro ricercatore, il dottor Konstantinos Poulas, all'epoca era invece “un investigatore principale per l'ONG greca NOSMOKE, che ha la sua base al Patras Science Park, un centro di scienza e innovazione che ha ricevuto finanziamenti dalla Foundation for a Smoke Free World (un'organizzazione finanziata dall'industria del tabacco)”. La redazione ha scritto che se avessero avuto accesso a queste informazioni dapprincipio non avrebbe proceduto alla pubblicazione, pur non avendo trovato criticità dal punto di vista dell'analisi scientifica. In un'intervista a Retraction Watch il professor Farsalinos ha dichiarato che le posizioni "incriminate" sarebbero irrilevanti (dal punto di vista del conflitto d'interesse) e ritiene ingiusto il ritiro della pubblicazione, pertanto verrà presentata a un'altra rivista.

I risultati di questo e altri studi in cui è emerso il fattore protettivo del fumo sono comunque stati smentiti da altre indagini. La ricerca “Current smoking and COVID-19 risk: results from a population symptom app in over 2.4 million people” pubblicata sulla rivista Thorax, ad esempio, ha rilevato che i fumatori hanno una probabilità sensibilmente superiore di sperimentare più sintomi della COVID-19 rispetto ai non fumatori, oltre che di rischiare la forma grave dell'infezione e di finire in ospedale. Nello specifico, nello studio i fumatori avevano il 29 percento di probabilità in più di segnalare fino a cinque sintomi noti di COVID-19 e il 50 percento di probabilità in più di segnalare più di 10 sintomi nell'App ZOE COVID Symptom Study. Una precedente indagine condotta dall'Istituto Superiore di Sanità (ISS) aveva invece determinato che i fumatori hanno un rischio doppio di finire in terapia intensiva e di aver bisogno della ventilazione meccanica.

I risultati delle indagini a favore del fumo sono stati aspramente criticati dall'OMS, che ha puntato il dito proprio contro le lobby del tabacco accusandole di creare “confusione” di proposito. In un comunicato stampa e in alcuni tweet indicò che il fumo è un “fattore di rischio per molte altre infezioni respiratorie, tra cui raffreddori, influenza, polmonite e tubercolosi”. “Gli effetti del fumo sull'apparato respiratorio – aggiungeva l'OMS – rendono più probabile che i fumatori contraggano queste malattie, che potrebbero essere più gravi. Il fumo è anche associato a un aumento dello sviluppo della sindrome da distress respiratorio acuto, una complicanza chiave per i casi gravi di COVID-19. Ogni forma di fumo di tabacco è dannosa per i sistemi dell'organismo, compresi i sistemi cardiovascolare e respiratorio, e la COVID-19 può anche danneggiare questi sistemi”. Insomma, non c'è da stupirsi che un virus in grado di danneggiare i polmoni, trovandosi innanzi a organi già deteriorati dal fumo possa essere più aggressivo e letale.

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