Ricostruito il volto del più antico antenato dell’uomo: le immagini straordinarie
Grazie a un cranio quasi completo recuperato nel 2016 in Etiopia è stato possibile ricostruire il volto del più antico antenato dell'uomo, l'Australopithecus anamensis. Fino alla scoperta del preziosissimo reperto, avvenuta nel cuore della Valle Godaya nella regione del Woranso-Mille, i resti di questo antichissimo australopiteco – datati tra i 4,2 e i 3,9 milioni di anni fa – erano scarsi e incompleti. Tutto è cambiato quando la squadra del paleoantropologo Yohannes Haile-Selassie del Museo di Storia Naturale Cleveland si è imbattuta nel cranio, trovato incastonati in un blocco di arenaria sotto 30 centimetri di sterco di capra. Gli scienziati hanno battuto un'area di 25 metri quadrati per prelevare tutti i frammenti associati al piccolo cranio.
Ricostruzione digitale. Una volta estratto dalla roccia il cranio è stato sottoposto ad accuratissime scansioni per la ricostruzione digitale, completata anche grazie al lavoro dei paleoantropologi dell'Università di Bologna Stefano Benazzi e Antonino Vazzana. Grazie al loro lavoro è stato possibile far emergere strutture non direttamente visibili nel reperto. Dalle analisi è emerso che l'Australopithecus anamensis differiva in diversi tratti dall'Australopithecus afarensis, la specie alla quale appartiene il celeberrimo fossile di Lucy (A.L. 288-1). Anch'esso fu scoperto in Etiopia nel lontano 1974, a una trentina di chilometri di distanza da dove è stato recuperato il prezioso cranio del nostro più antico antenato. Il team internazionale coordinato da Haile-Selassie ha determinato che le due forme di australopiteco convissero per centomila anni, e che probabilmente la specie di Lucy è derivata dalla prima. Tra le differenze rilevate dai paleoantropologi vi sono quelle della mascella e dell'osso temporale.
L'aspetto dell'antenato. Come si evince dagli splendidi render elaborati dalle analisi del cranio, l'Australopithecus anamensis aveva un aspetto molto più "scimmiesco" rispetto a quello dei primi esemplari del genere Homo, comparso circa 3 milioni di anni fa. Aveva infatti un “muso” pronunciato, il naso schiacciato e una disposizione delle ossa craniche molto più vicina a quella di una scimmia che di un uomo. Il cervello era poco più grande di quello di uno scimpanzé. Il cranio, datato 3,8 milioni di anni fa e appartenente a un maschio adulto, secondo gli scienziati migliorerà sensibilmente la lacunosa comprensione dell'affascinante e intricata storia evolutiva dell'uomo. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati in due distinti articoli (qui e qui) sull'autorevole rivista scientifica Nature.